La scevà / shwa e il linguaggio inclusivo

Oggi condivido una notizia che trovo molto bella.

La casa editrice Effequ userà nei suoi testi lo shwa, o scevà, ovvero questo segno grafico: < ə > al posto del maschile, per indicare un “neutro” o un “generico”.

Il mondo cambia e noi cambiamo con esso, e vale anche per il linguaggio!

(UPDATE: ho aggiornato questo articolo un anno dopo, con alcune considerazioni in parziale contraddizione con quanto qui esposto. Il discorso in merito si evolve e mi trovo a cambiare idea sullo scevà, che a oggi, agosto 2023, non ritengo più una soluzione adeguata, rivedendo anche il concetto di “linguaggio inclusivo”. Ci ritornerò, chissà, prima o poi, e te lo segnalerò anche qui!)

La ricerca di un neutro vero, al posto del maschile, riflette la necessità sempre più condivisa di ripensare il paradigma dominante.

Il maschile non è lo standard, bensì… il maschile, ovvero una delle tante variazioni della soggettività.

Cercare un modo che le includa tutte, senza più affidarci pigramente a una prassi che riflette un privilegio, significa anche ripensare quel privilegio e cercare di superarlo: non per punire i privilegiati, ma per liberare tutt* dallo squilibrio.

Segnalo comunque, perché mi fa piacere pure questo, che la pagina facebook Oscar Mondadori Vault usa già lo shwa da qualche tempo, nei suoi post.

E sono anche contenta di ricordare che nel nostro piccolo anche Franco Ricciardiello e io ci siamo posti il problema dell’inclusività linguistica nel nostro “Manuale di scrittura di fantascienza”, adottando una soluzione che tenesse conto del momento, della nostra volontà inclusiva e della necessità di essere efficaci.

Quelle che chiamo le disfide dell’asterisco (ovvero le reazioni scomposte seguite da polemichette e reazioni di rigetto quando si viene a contatto con scritture inclusive oltre il maschile-neutro) non mi spaventano affatto quando scrivo nel mio blog e per i portali con i quali collaboro, che condividono per lo più le mie vedute (o altrimenti… mi conoscono e sanno che è meglio non stare a sindacare certe cose con me 😀 ).

Per il Manuale la cosa si è profilata subito diversamente: Franco e io eravamo preoccupat* nel pensare a tant* lettori e anche lettrici che si sarebbero ritirati coi nervi, alla vista degli asterischi, allontanandosi prima ancora di capire meglio.
Lettori e lettrici del genere sono parte integrante del target che vogliamo raggiungere con il nostro manuale: persone che non la pensano come noi, o che magari non si pongono questi problemi e reagiscono male perché non capiscono o perché sono spaventat* dal cambiamento.

Per raggiungerl* senza provocare chiusure preventive, abbiamo quindi concordato di agire in questo modo: includere entrambi i generi nei soggetti; e nel caso di aggettivi o participi da concordare, declinare questi ultimi solo al maschile inteso come neutro.

Quindi, ad esempio: “le lettrici e i lettori sono molti e motivati.”
Oppure: “gli scrittori e le scrittrici esperti devono state attenti”.
Senza dare precedenza a un genere (es. prima il femminile) ma alternandoli con elasticità.

In seguito mi sono trovata a parlare di questa scelta ad alcune presentazioni: ad esempio per il NABA, nel corso extrauniversitario VITRIOL del collettivo Ippolita, che mi aveva invitata per parlare proprio del manuale e di “Hacking del sé” attraverso la fantascienza femminista.

In quell’occasione, ho spiegato la nostra scelta “mista”, adottata per favorire il contatto e l’entrata in relazione, con un’aggiunta molto importante: sappiamo e sapevamo anche noi che la modalità che abbiamo scelto per il Manuale non è l’ideale, ma una scelta tra tante, con motivazioni precise, in un preciso momento storico, che probabilmente è di passaggio.

L’auspicio era quello che la nostra modalità fosse presto superata, per nuove soluzioni migliori sotto più punti di vista. Lo shwa potrebbe esserlo.

A differenza dell’asterisco (che io sto ancora usando, forse per abitudine, o perché mi piace vedere quella stellina al posto di una prepotenza <3) lo scevà è pronunciabile anche a voce, e non ci obbliga quindi ai classici “stop da inclusione”: «Salve a tutt… ehm… a tutti e tutte, insomma, asterisco, ecco, sì, ciao!»

Inoltre, lo shwa è un’aggiunta, una risorsa in più: un modo per ripristinare il neutro anche nella nostra lingua, e dunque uno strumento aggiuntivo per poterla usare con profondità e magari nuove suggestioni, intenzioni, conseguenze.

Non dimentichiamo che non esistono solo due generi: sviluppare questa consapevolezza anche nella lingua significa aumentare la ricchezza delle cose che possiamo dire, pensare, creare… significa arricchirci la vita!

Non significa, lo ripeto, voler punire qualcuno: chi dice questo ha probabilmente paura di qualcosa, magari della complessità o della fatica di imparare questa novità, cosa comprensibile; oppure di perdere il proprio privilegio e una preminenza che ora sta finendo, e beh, è comprensibile pure questo, ma direi ampiamente superabile.

Bello che proprio Effequ sia la prima forse al mondo ad adottare questa norma redazionale: il suo motto è libri che non c’erano, mai condotta fu più coerente!

Lo scevà non è solo pronunciabile, ma anche comune e facile da scandire. Tutt* noi sappiamo già pronunciarlo: pur non essendo un suono della lingua italiana, esso ricorre in tantissimi dialetti conosciuti anche al di là dei propri confini.

E se non ci credi, su, cantiamo insieme: Vedi ‘o marə quant’è bello…

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