Giorni fa, stavo programmando i vari post da pubblicare, dedicati a temi ameni di cui abbiamo già parlato in passato: come trattare con gli editori, come vivere bene la scrittura, come prepararsi per la pubblicazione…
All’improvviso il mio mondo, come quello di tutti, si è riempito di immagini di violenza e morte, immagini della terribile tragedia accaduta a Parigi.
Alle immagini, hanno subito fatto da contraltare le parole.
Ed è stato peggio, sempre peggio.
Le immagini sono dure da sostenere.
Ma le parole a volte fanno anche più male.
Parole impulsive, incomplete, confuse, imprecise, buttate a casaccio, ansiose, ansiogene, precipitose, urlate.
Ai racconti in presa diretta sono poi seguite le vere e proprie narrazioni. Ricostruzioni, ipotesi più o meno fondate sui “buchi” lasciati aperti dalla trama, interpretazioni, opinioni spesso anche in malafede.
E via, si scava.
La mia reazione ponderata è stata quella di non espormi oltre alla tempesta maleodorante di violenza e incompetenza, e di evitare di parlarne e di commentare.
Per due motivi:
- la vicenda è di per sé molto complessa e non mi sento in grado di produrre idee sensate in merito.
- Il commento a caldo è qualcosa di pericolosissimo da gestire nel modo giusto.
E questo è l’aspetto sul quale sento di poter dare un vero contributo!
Sono una scrittrice per mestiere e lavoro con altri scrittori e scrittrici, e con le parole.
Mi sono trovata di fronte a un dilemma davvero spinoso, che tocca me, e chiunque si trovi a scrivere per dovere, per piacere, per hobby o per vocazione:
Cosa e come scrivere all’indomani di una tragedia?
Come raccontare traumi appena vissuti?
Ci sono due distinzioni importanti da fare.
La prima distinzione è quella tra scrivere e pubblicare.
Ci torno presto.
La seconda distinzione riguarda le persone coinvolte, ed è tra:
- testimoni oculari, vittime, chiunque sia toccato personalmente dall’evento.
- Tutti gli altri, che ne vengono a sapere da una fonte intermedia.
Scrivere se sei vittima di un trauma
Se hai vissuto la tragedia sulla tua pelle, se sei stato/a ferito/a, se sei stata/o tenuta/o in ostaggio, sei hai assistito direttamente a un attentato o ne è stato coinvolto un tuo stretto familiare, per te scrivere è importante a scopo terapeutico.
Tantissimi studi confermano le proprietà salvifiche della scrittura, che ci consente di rivivere il trauma in una situazione protetta, di decostruire e ricostruire i fatti in una cornice diversa e di dare loro un significato a noi comprensibile.
Catartico e consigliatissimo.
Ho fatto un patto sai con le mie emozioni…
le lascio vivere e loro non mi fanno fuori.
Vasco Rossi, Manifesto Futurista Della Nuova Umanità
Il materiale che produrrai potrà servirti per un percorso interiore di elaborazione, di rinascita, di memoria, magari con l’aiuto di un bravo o brava psicoterapeuta che ti sostenga.
Con un certo tempo e lavoro, i memoriali e i diari possono trasformarsi in pubblicazioni aperte e leggibili da tutti.
Attenzione, però, qui torno sulla distinzione tra scrittura tout court e pubblicazione.
Scrivere non vuol dire pubblicare.
Quando pubblichi, le parole prendono la loro strada, fuori dal nostro controllo. Possono ritorcersi contro di noi e farci soffrire ancora.
Cosa accadrebbe se venissero usate male? Strumentalizzate? Travisate? E cosa accadrebbe se poi ci pentissimo di averle scritte?
Quanto dolore proveremmo ancora?
Non pubblicare nulla: già dalle primissime ore, non postare sul tuo blog, non lanciarti in invettive/ricostruzioni, tieniti lontano dai social per un bel po’… e per l’amor di dio, non rilasciare interviste in cui ti verrà sicuramente chiesto come ti sentivi mentre ti puntavano una pistola alla testa e se perdoni i tuoi torturatori.
Se invece non hai vissuto la tragedia in prima persona, ma ne sei stato coinvolto per avervi assistito tramite TV, web, video, notizie, articoli, dirette, speciali, altre dirette, immagini, telegiornali… benvenut* tra noi!
Raccontare una tragedia: come fare
Fai parte del popolo degli spettatori, tirato dentro ogni tragedia che possa far alzare share o click.
Sappi che i media faranno di tutto perché tu sappia e ti senta coinvolto in prima persona, fornendoti un profluvio di input che ti renderà informatissimo e ti rovinerà completamente la giornata/la settimana/la vita.
Ti incoraggeranno a esprimerti, a dire la prima cosa che ti passa per la testa, a esternare come ti senti e come la vedi, ad aggiungere il tuo al loro gracidio.
Perché nell’era dei social noi siamo utili casse di risonanza.
Spesso la gente non ha le emozioni chiare, altro che le idee.
Diego De Silva
Se sei scrittore o scrittrice, professionista o in erba, la tentazione di metterti alla prova è grande.
La forza delle emozioni che provi può trarti in inganno, facendoti credere che è il momento giusto per tirare fuori qualcosa che abbia impatto.
Il flop è molto probabile, perché quando l’enfasi è in mente, difficilmente arriverà sulla pagina, dove trasmetterai chiaramente solo il fatto che non eri padron* di te stess* e dei tuoi strumenti, mentre le scrivevi.
L’emozione non è negativa, anzi è necessario viverla e starci dentro più possibile: fino a che la tempesta di parole non si allinei diventando una sequenza intellegibile.
La comunicazione deve arrivare dopo, molto dopo, una volta che hai deciso cosa, come e perché farlo.
Come nel caso terapeutico, scrivere va bene perché ti consente di fissare sensazioni, dettagli, esperienze, mescolando dati preziosi della realtà che hai intorno con i tuoi percorsi creativi.
In questi momenti, scrivi bozze, annota dettagli, lasciati percorrere dall’atmosfera, ascolta, osserva, registra tutto.
Quello che fermerai su carta ti resterà per i lavori futuri.
Considera anche che la sovraesposizione uccide l’elaborazione: per la qualità delle tue parole, ti consiglio di evitare la TV spazzatura, le fotacce sui social, le discussioni online prive di capo e di coda, il sensazionalismo che ti inquina anche la vita.
Tratta con le pinze i racconti dei testimoni oculari, non giudicarli, perché sono esattamente quello che devi evitare anche tu: la comunicazione a caldo, priva di filtri e di discernimento, che nel caso delle vittime merita comprensione e forse anche protezione, custodia, rispetto, silenzio.
Esponiti piuttosto a fonti di prima qualità: ascolta le analisi e i contributi pacati, quelli lunghi e articolati, quelli che arrivano dopo rispetto alla monnezza live del citizen journalism.
Segui esperti di politica e di storia sociale, ma anche dell’animo umano: psicoterapeuti, specializzati in stress post traumatici, operatori sociali.
Rivolgiti dunque, per la profondità di ciò che scriverai, ai memoriali di cui sopra: testi già pubblicati di persone che hanno vissuto sulla loro pelle traumi e tragedie, e ne hanno tratto storie e insegnamenti preziosi per tutti.
Uno di essi è “Uno psicologo nel lager” il racconto autobiografico dell’internamento ad Auschwitz del grande Viktor Frankl.
Un libro bellissimo, un patrimonio dell’umanità, una lezione che ti arricchirà sicuramente.
Leggi. Scrivi. E taci.
Soprattutto se sei sconvolt*, se la tragedia di cui stai scrivendo ti tocca corde non bene identificate e ti fa reagire emotivamente… scrivi tutto quello che vuoi ma non pubblicare nulla fino a nuovo ordine del cervello.
Bisogna usare le emozioni per pensare, non pensare spinti dalle emozioni.
Robert Kyiosaki
Si scrive con la pancia, si revisiona e si pubblica con la testa.
Nulla di più delle normali valutazioni che uno scrittore dovrebbe fare quando pubblica qualcosa.
Se non fosse che vanno fatte anche per il tuo blog autore, anche per i 150 caratteri di Twitter.
Se sei uno scrittore/una scrittrice, anche lo stato su facebook conta.
Chi ti segue lo leggerà e si farà un’idea di te che condizionerà anche la tua vita professionale.
E quando c’è una tragedia che colpisce tutti, lo scenario si fa più complicato, le cose più delicate.
Hai la pazienza di aspettare fino a quando il fango si deposita sul fondo e l’acqua torna limpida?
Lao Tzu
Sei sicur* di non rischiare qualche gaffe?
Sei cert* di essere abbastanza tranquill* e razionale da evitare di scrivere… minchiate?
Se invece sei abbastanza lucid* e credi di voler dire qualcosa in merito, esprimiti pure.
Se sei sicur* di poter dare un contributo, di poter aggiungere un tassello, fallo nel modo più rispettoso e cauto possibile: per spirito di servizio, non per amor proprio.
In qualsiasi caso evita, ti prego, iniziative collettive e concorsi aperti sull’onda dell’emotività. Come quello di cui ho letto ieri, che richiede agli autori di calarsi nei panni di una vittima parigina immediatamente prima che la ammazzino.
Di cose simili nessuno ha bisogno, tranne l’ego di chi le porta alla luce, che non fa un favore né a sé né agli autori che parteciperanno.
Non ci vuole un esperto per immaginare cosa ne uscirà.
Oggi siamo bombardati di parole e di stimoli… la maggior parte dei quali sono superflui.
Siamo spint* a pubblicare contenuti, qualsiasi tipo di contenuti, e quando ci pentiamo di averlo fatto è troppo tardi.
Perché tutto resta, nulla si cancella definitivamente e quel racconto emotivo e pecionaro che magari su carta passava inosservato, ora viene condiviso, cinguettato e rilanciato in un infinito presente.
Tienilo a mente la prossima volta che apri Facebook o che decidi di prendere parte a un instant book.
Scrivere ti dà sollievo. Persino quando non hai niente da dire, scrivere ti dà sollievo. Ma lo sappiamo, quando non abbiamo niente da dire?
Elias Canetti
Ocio!