Nella notte tra il 16 e il 17 luglio 1918, un gruppo di fucilieri comandati dal fotografo e čekista Jurovskij (d’accordo con il Soviet centrale e con Lenin) massacrano a colpi di pistola e baionetta lo zar deposto Nicola II, la sua famiglia e alcune persone del seguito.
L’episodio è conosciuto con il nome di “eccidio dei Romanov”, mentre “la fine dei Romanov” coinvolge anche altri familiari di Nicola, come suo fratello, uccisi negli stessi giorni.
Non sono una fan della monarchia, ma i bolscevichi non si limitarono a un regicidio: si accanirono con brutalità estrema contro bambini, ragazze, vecchi e finanche “figli del popolo” come loro.
Ho letto molto sull’argomento e nonostante la mia passione per la scrittura storica ho sempre esitato a scrivere qualcosa in merito: il fatto ancora vicino, qualche familiare ancora vivo, cose sufficienti a impedirmi di scriverne a cuor leggero. Sono fatta così.
Lo scorso anno però mi si è presentata un’occasione che passava per una strada diversa: quella dell’utopia. La chiamata di Kipple Officina Libraria per l’antologia “Lo Zar non è morto” mi ha permesso di partire dalla storia e passare per l’inconcepibile. Senza pascolare su una tragedia, ma grazie al fantastico riuscendo persino a sventarla.
Se vorrete, quindi, nel mio racconto “La Città della Gioia” troverete non una Falsa Anastasia, ma una Diversa Anastasia, alle prese con un viaggio pericoloso tra Ekaterinburg, Valona e Ancona, tra guerre, rivoluzioni, ombre e luci dell’utopia!
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