Caro Gian Filippo,
ho letto ieri la notizia che non sei più in questo mondo. Ecco la prima cosa che voglio dirti: spero che i miei auguri di buon anno terrestre ti giungano tempestivi, insieme ai nostri pensieri stupefatti, amorevoli e un bel po’ tristi, in qualunque altro mondo ti trovi ora.
In un celebre e gustoso aneddoto, Kurt Vonnegut raccontava di essere succeduto alla presidenza dell’Associazione Umanisti a Isaac Asimov, il quale aveva appena fatto il salto che hai recentemente fatto tu. E le prime parole che V. disse furono: “Ora Isaac è in un mondo migliore”, e tutti, conseguentemente, si rotolarono a terra dalle risate, perché non era nelle corde del loro Umanesimo credere in aldilà più elevati, considerati escapismi sterili.
Questo aneddoto mi aveva divertita molto. Parlo di tanti anni fa, almeno dieci, prima del momento in cui tu e io facemmo conoscenza. Ora confesso che il motto mi lascia più tiepida: mi restituisce il piacere della prosa sagace di Vonnegut, ma null’altro.
Perché, infatti, mi chiedo: che umanistə sono quellə che pretendono di sapere cose al di là della loro possibilità di saperle? Cosa significa essere Umanista, se non si è in grado di constatare serenamente i limiti nostri, animali autocelebrantisi con la maiuscola?
Per non parlare del resto: che fantascientistə saremmo se non ammettessimo la possibilità di esistenza di altri mondi? Altri mondi che non possiamo sapere, quindi nemmeno escludere… ma che certamente dobbiamo immaginare e contemplare con altri strumenti – l’immaginazione, la volizione, la speculazione, la creazione! – se vogliamo dirci fantascientistə.
Ma il buon Kurt, si sa, aveva un rapporto particolare con la fantascienza. Tu no, tu sei molto più deciso, diretto e pacificato di lui – nota che parlo al presente: continuo a sperare che le mie parole ti raggiungano in un tempo, se non immediato, quanto meno sincronico.
Tu, dicevo, con la fantascienza sei e sei sempre stato onesto, leale, sincero prima di ogni altra cosa: tu la fantascienza l’hai sempre dichiarata, promossa, discussa, studiata… chiamandola con il suo nome, senza troppe fisime, e ti sei sempre convintamente messo nella comunità di chi scrive e ama la fantascienza, nel bene e nel male.
Sul bene c’è molto da dire, e ora che hai chiuso la tua esperienza terrena, penso che impiegheremo molto tempo a ricostruire, richiamare, raccogliere tutto il tanto bene che tu hai fatto alla fantascienza italiana. Che ora sta emergendo verso un pubblico più ampio: sei stato tu insieme a pochi altri a preparare il terreno, a trovare e formare autori e autrici con cui costruire “fantantologie” a tema, a cercare editori interessati e intraprendere con loro dei percorsi ragionati, a promuovere le antologie pazientemente composte di fronte al pubblico interessato.
Così è stato anche per la fantascienza femminile: oggi è una presenza importante, l’hai “ripresa” tu tra i primi con “Oltre Venere”. Non volesti identificarla come “femminista” e chiedesti racconti di fantascienza “generica”, non incentrata sulla questione di genere: non per smentire o negare nulla, ma per ribadire che le donne possono e devono scrivere ciò che vogliono, senza dover necessariamente essere identificate con quella sola questione.
La tua prefazione a quel lavoro, priva dell’ideologia che io pure seguo e sento mia, resta per me un contributo molto importante, perché dotata di una visione di insieme semplice, chiara, pragmatica e tuttavia ancora poco comune nelle discussioni e nelle nuove “fantantologie” in tema.
“Fantantologie”, già! Devo ringraziare Alberto Cola per avermi inclusa in questo gruppo facebook da te condotto, e dal quale sono nate non solo tante antologie, ma anche diverse carriere autoriali. Una di esse, lo sai, è la mia: ma ce lo siamo detto, questo, ti ho ringraziato tante volte, e tu mi hai risposto alternando metaforici bonari ganascini a burberi inviti a tagliar corto con le cerimonie, e finire invece il benedetto racconto che aspettavi.
Il bene che hai fatto alla fantascienza italiana, e a tuttə noi che la amiamo, include anche la dimensione del “male”: nel bene e nel male, ho scritto sopra, perché nel bene e nel male hai osservato lo stato dell’arte e hai promosso discussioni e confronti volti ad affrontare la situazione per come si presentava.
“Perché la gente non ama la fantascienza?”, ti sei chiesto, e da questa domanda hai realizzato contributi importanti. L’ultimo in ordine di tempo è l’antologia “Rapporti dal domani”, dedicata appunto a chi non legge fantascienza, per cercare di appassionare nuove lettrici e nuovi lettori a questo genere attraverso storie semplicemente belle, e non troppo complicate o “esoteriche”.
(Non ho avuto modo di chiedertelo, avevi già i tuoi problemi di salute e avevo pensato di rimandare la cosa a tempi migliori: sono io la scrittrice infingarda che ti rammarichi di non avere a bordo, di cui parli in quella prefazione? Da questa domanda sarebbe nato un bello scambio tra noi: io ti avrei scritto un po’ scocciata e un po’ sentendomi in colpa, e tu mi avresti risposto un po’ burbero e un po’ bonario. Non avendo ora un dottor Kervorkian a facilitarmi la comunicazione, devo rimandare lo scambio a dopo che avrò fatto anche io il salto – a tempi migliori, appunto, qualsiasi cosa voglia dire. Ma non illuderti di svicolare.)
Parlo di scambi non a caso: la tua domanda sul perché la gente non ami la fantascienza, che hai sempre legato alla conseguente “cosa possiamo fare noi per far amare la fantascienza?” ti aveva indotto anche a promuovere una “tavola rotonda”, una serie di interventi da te sollecitati ad autori/autrici, editor, editori, che venne pubblicata a puntate su fantascienza.com e che proseguì tra noi via mail. Perché io non mi rassegnavo a cadere nella “catechizzazione” e tu con pazienza – burbera, sempre, eh: che non ti si dipinga da ora in avanti come un buon puccioso scrivano dickensiano, tu ti definivi “gattopardo” e il gattopardo, quando deve, graffia! – e tu con pazienza mi scrivevi che tra “catechizzare” e “invogliare, divulgare, informare” la differenza non era mica poca.
Ecco, Gian, rischiando un tuo sbuffo te lo devo dire di nuovo: mi sento fortunata ad aver iniziato a pubblicare fantascienza sotto la tua guida, e lo sono certamente quando ammetto che di tutti i contributi che hai dato alla fantascienza italiana quelli che più mi mancheranno da ora in avanti saranno gli scambi privilegiati, quelli tra noi: nei quali discutevamo, sì, e poi ci raccontavamo qualche soddisfazione familiare, riepilogavamo progetti in essere e in creazione, scambiavamo consigli di lettura e di visione – mi hai persino mandato un film! E quando leggevi qualcosa di mio, mi scrivevi, e come prima cosa mi dicevi quello che non ti aveva convinto; allora sbuffavo io, ma solo per un attimo, e quando ti rispondevo tornavo sempre al sorriso.
(Però non ti ho spedito quel libro. Il mio ritardo si è incastonato in qualcosa di definitivo. Scusami.)
Nota che ho cambiato tempo, ora, e che già da un po’ parlo al passato. Perché ci sei, Gian, nei tuoi scritti e nei nostri, e non mi sogno certo di negare l’esistenza di aldilà che la mia umanità (minuscola e con la minuscola, che vuoi fare…) mi impone di lasciare senza risposta. Ma nel “cosiddetto reale” tu non ci sei più, e saremmo ingiustə e puerili nel voler prolungare d’arbitrio un’esistenza che adesso è su altri piani, ma non qui.
Qui possiamo ricordare, continuare a volerti bene, ragionare sul tuo compiuto percorso intellettuale e culturale. Possiamo dirci e augurarci che tu sia in un mondo migliore: qualcuno si farebbe una risata, io invece sto piangendo da quando ho iniziato a scriverti. Tu questo già lo sai, già lo sapevi: la tua mancanza è una perdita grande, l’hai presagita e hai decretato tu stesso la “fine delle trasmissioni”.
Eppure non è proprio così, ti contraddico quest’ultima volta, ancora confidando nella tua burbera pazienza: quello che hai fatto trasmetterà ancora per tanto, tanto tempo.
Buon viaggio, Gian Filippo, e grazie di… esserci.
Giulia