Continuo una riflessione dopo il post precedente, dove avevo espresso qualche considerazione sul pezzo di Aligi Taschera, molto duro con chi minimizza gli argomenti relativi ai problemi di inquinamento e degradazione dell’ecosistema, che in molti stanno esprimendo nell’area del dissenso.
(Ovvero, in quel gruppo di persone che hanno contestato le politiche pandemiche e continuano a contestare la propaganda sempre più aggressiva del potere, e gli abusi governativi resi possibili e facili dalla generale acquiescenza al discorso dominante “emergenziale”.
Per questa ragione parlo di “Covidistan”: perché dal momento in cui è stata dichiarata la “emergenza sanitaria”, la nostra già fragile democrazia ha avuto il colpo di grazia. Quello che seguirà, guerra, governi “tecnici”, nuove emergenze, è una strada tutta in discesa, sempre più difficile da cambiare).
Il prosieguo della mia riflessione su ecologismo e dissenso l’ho pubblicato sul blog La Bottega del Barbieri, che mi ha dato ospitalità con la consueta gentilezza.
Si intitola: “Ghiacciai e lotta di classe”, e prende in considerazione il problema speculare a quello della minimizzazione da parte del dissenso, ovvero la miopia assoluta da parte di chi tenta di fare divulgazione e informazione, ma che non ha il coraggio di andare all aradice del problema, e anzi stigmatizza i cosiddetti “negazionisti”.
Le “persone normali” sono spesso più avanti dei grandi tecnici, perché una cosa l’hanno capita, e mica una cosa da poco: chi comanda suona a intermittenza le trombe green perché nulla davvero cambi, perché chi inquina duro possa continuare a farlo.
Lungi da me dubitare del fatto che le attività antropiche stiano devastando il pianeta e il clima!
Allo stesso tempo, però, noto che anche nelle parole di chi vorrebbe metterci in guardia spesso manca qualcosa.
Qualcosa di cruciale, di esiziale.
Qualcosa alla radice, invisibile perchè grosso come una montagna, non visto perché “inconscio là fuori”, come recita il titolo di un bellissimo saggio-pamphlet di Gianni Vacchelli: “L’inconscio è il mondo là fuori”, Mimesis Edizioni.
Torno a sostenere il fatto che non possiamo più parlare di “antropocene”, pena la caduta nella mistificazione.
La parola è “capitalocene“.
Discorso complesso, che però va fatto. Intanto consiglio anche la lettura di Jason W. Moore e del suo meraviglioso “Antropocene o Capitalocene?” pubblicato da Ombre Corte.
Ringrazio con tutto il cuore Daniele Barbieri, sempre disponibile e ospitale, anche quando dico le parolacce.
Qui il mio pezzo: “Ghiacciai e lotta di classe”.
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