Leggo oggi su Fantascienza.com della notizia di una nuova uscita targata Kurt Vonnegut: “Bompiani riporta in libreria una delle sue più note antologie dal titolo Benvenuta nella gabbia delle scimmie, il cui titolo è ripreso, guarda caso, proprio da quello di un racconto di fantascienza. Sono storie che lo scrittore ha pubblicato tra il 1950 e il 1968.”
Interessante la riproposizione di questi racconti di Kurt Vonnegut, che prosegue forse la “riscoperta” di un grande scrittore, con il concreto pericolo di raschiare il barile, come già accaduto per il dimenticabile “Quando siete felici, fateci caso” di Minimum Fax, un collage di quattro discorsi minori e tutti uguali, ma con copertina fichissima che chiamava le ecosportine feltrinelli tipo il cacio e i maccheroni.
Il racconto che dà il titolo a questa nuova uscita Bompiani (ora hanno loro i diritti: ricordo a una fiera del libro di annissimi fa, i ragazzi di Elèuthera ubriachi di liquorino per festeggiare il colpaccio, la vendita dei diritti di V. a Feltrinelli, o forse anche per dimenticarlo, non saprei) è stato pubblicato su Playboy, rivista che ha spesso ospitato pezzi di “controcultura”. Vi pubblicò anche Ursula K. Le Guin, e se non erro quella fu l’unica volta che fu presentata come “U.K.” occultando il fatto che fosse donna.
Sul valore di questa “controcultura” il dibattito potrebbe aprirsi, vista la cornice che era sì controculturale, ma in senso reazionario e predatorio, come ormai sappiamo; se ancora esiste qualcuno che consideri quel maniaco di Hugh Hefner una figura culturale positiva o sovversiva, gli consiglio di svegliarsi (o un liquorino, perché no?). Ma comunque: ci sono in giro delle interessanti raccolte, che contengono i racconti pubblicati sulla rivista: il materiale è di varia qualità, a volte innegabilmente notevole.
In una di queste raccolte, “La fantascienza di Playboy”, quella con la copertina nera, lessi proprio “Benvenuta nella gabbia delle scimmie”, che ricordo mi lasciò con molte perplessità e sganciò una cacca di piccione gigantesca sul monumento che mi ero fatta di Vonnegut.
Quella caccona la considerai da subito un effetto benefico, perché ho sempre avuto diffidenza verso i monumenti culturali, sarà che sono bastian contraria, sarà che le idealizzazioni ci bloccano nei templi e io invece se non mi muovo e non apro finestre in giro mi manca subito l’aria.
Di cosa parla il racconto? Di una società distopica, completamente alienata e avulsa dalla relazione e dal corpo, e dunque dall’amore. Ma c’è un eroe che combatte questa situazione, e per portare avanti la sua battaglia rapisce la protagonista e la stupra: poiché, le spiega in seguito con urbana cortesia, questo è l’unico metodo per far risvegliare il corpo, o qualcosa del genere. Certo, è un vero peccato che si debba passare per la violenza sessuale, ma tutto sommato, ci viene detto nelle ultime righe, può funzionare. Grazie, eroe!
Ora, credo proprio che la storia contenesse un qualche grado di ironia intesa a ridicolizzare proprio l’eroe (che ricordo in vestaglia, circondato da “risvegliate” adoranti: una sibillina presa in giro di HH?) e a beffarsi di chiunque voglia risvegliare gli altri in modo arbitrario senza però disdegnare una propria gratificazione nel farlo. Ma insomma, il punto è che il racconto era scarsino e mi chiedo il valore di questa sua “riscoperta”. Potevamo farne a meno? Non è una domanda retorica, è davvero una cosa che mi chiedo e che potrebbe tranquillamente produrre un “NO” come risposta.
Certo, da utopista quale sono, spero che il raschiamento di barili possa servire a rimettere Vonnegut, grandissimo scrittore che tra gli americani è uno dei miei preferiti, in una cornice umana e contestualizzata, levandogli di dosso quell’aureola che gli stanno costruendo intorno a colpi di copertine patinate… di quelle che Kilgore Trout, il suo personaggio feticcio, poteva solo sognarsi.
Ma perché mai mi dovrei augurare che venga tolta l’aureola a un grande scrittore?
(Oltre per le mie già citate idiosincrasie, anche) perché un’aureola non è mai funzionale a diffondere messaggi profondi o trasformativi, figuriamoci. Piuttosto, addomestica e liofilizza il “santo”, disattivandone qualsiasi contenuto sovversivo: è capitato a un tizio in Umbria, intorno alla fine del 1200, e il metodo non è cambiato (parlo per lo più di uomini, le donne di solito si fa prima a bruciarle). Piuttosto, il tal metodo si è evoluto grazie alla grazia del mercato: una bella aureola al “santo” di turno permette di fare soldi con la sua faccia/la sua letteratura/la sua paccottiglia derivativa sulle ecosportine, e insomma di metterlo a reddito, come qualsiasi mito di questa età senza più Mito.
Da adesso è forse il caso di aspettarsi che qualche occhio armato del mainstream si accorga della supposta apologia di stupro: dato il vento che tira, anche chi azzarda ironia (magari fallendo pure) rischia di scottarsi il culo con qualche tizzone ardente. Se serviranno i popcorn sarà comunque una buona notizia, significherà che il nome di Vonnegut conta qualcosa, e che magari qualcuno, anche solo per revanche contro la cancellocultura vera o paventata, vorrà cercare la sua roba buona in biblioteca o in qualche mercatino.
Bè, mi scuso per questa prosa un po’ disconnessa: così è la vita. Buona lettura, io ho già dato, ma magari qualcuna/o mi farà sapere com’è