In questi giorni mi è capitato di leggere considerazioni arrabbiate verso chi, parlando di femminicidi, faccia ricadere la responsabilità degli omicidi sulle donne stesse, tacciandole di ingenuità, di malcomprensione, di cecità.
Sono considerazioni con le quali mi trovo totalmente d’accordo: la responsabilità di un atto è di chi lo fa, la colpa dell’uccisione è dell’uccisore. Senza ombre o sfumature!
Allo stesso tempo, spostandoci dal concetto della colpa e della responsabilità, penso non sia inutile rilevare come una relazione è costituita ed è nutrita da più di una parte: non credo di dire nulla di sconvolgente ricordando che in una relazione impari e abusante anche la vittima svolge un suo ruolo, porta una sua soggettività e una serie di “contributi” nella dinamica.
Questo NON implica colpa!
Ma può aiutarci a capire, tutte e tutti, e può anche favorire una rivalutazione della vittima, non più come mero oggetto su cui si abbatte un temporale, bensì come soggettività che può avere o recuperare una sua agentività, oppure che, anche sotto il tallone di ferro più spietato e ineliminabile, conserva nel suo animo delle risorse e delle ricchezze utili anche solo a sopravvivere, se non può fare altro.
Molto, anzi, tutto ciò è già stato scritto, c’è un’ampia letteratura in merito, io cito sempre Robin Norwood e il suo “Donne che amano troppo”, che è IMPRESCINDIBILE.
E però molto è presente da prima, ad esempio proprio nelle fiabe, che pur scaturite da contesti patriarcali e passate poi per pesanti “piallature” in epoca moderna (per non citare il disastro Disney) conservano molto di vivo e di spinoso, una sorta di sapienza della vittima, che rispecchia in fondo una strada di evoluzione dell’anima, espressa in simboli, metafore, allegorie.
Ecco dunque un elemento su cui fermarci, anche oggi, soprattutto oggi: “In fondo, quella barba non è così blu!”
Questa è una scelta, non del tutto libera, certo, ma condizionata da proprie paure e limitatezze. Eppure è qui che molto si gioca: come mai la ragazza decide di ignorare il segnale inquietante e innaturale della barba blu?
Resta una domanda aperta, e porsela non deve essere volto a colpevolizzare, ma a cercare di capire. Magari per cogliere subito il segnale di malcomprensione, anche in noi stesse, o nelle nostre figlie sorelle amiche e così via.
In quanto donne siamo legate da un’esperienza esistenziale comune, che è umana quanto quella maschile, ma anche profondamente diversa e comune al nostro sesso. E in quanto donne possiamo mobilitare le nostre migliori forze, quelle di chi tra noi le ha, e ce la fa: per vedere le barbe blu, e per avere cura in qualche modo di coloro di noi che scelgono di non vederle. (Cura che si estrinseca in molti diversi gesti possibili, nella fiaba le sorelle della protagonista saranno pure ambigue, ma fanno molto: cercano di avvisarla prima del matrimonio, e poi le stanno accanto nel castello, chiamano i fratelli a soccorso, vegliano sulla torre…).
Nel post che qui sotto condivido si parte in realtà dal mondo vegetale, che è anch’esso denso di significati, di metafore, di rimandi (ci ho scritto un racconto, sulle storie delle piante: “Il Libro di Flora”).
Anche queste sono fiabe a cui dare ascolto, anzi, soprattutto queste: sono fiabe più integre, non snaturate e non piallate. Tutt’al più (e te pare poco) è stata snaturata la nostra capacità innata di leggerle, capacità che rimane in alcuni saperi come l’omeopatia, o le religioni iniziatiche, o i percorsi sciamanici, o, appunto, questa meravigliosa Erboristeria Narrativa leggendo il post della quale ho fatto queste riflessioni.
A tal proposito: la mia convinzione, che si fa sempre più profonda, è che le storie delle piante non siano separate dalle nostre. Una volta credevo che l’essere umano fosse “animale metaforico” capace di attribuire i propri significati a qualsiasi cosa, in modo arbitrario e parziale, e lo credo ancora. Ma credo anche, e quasi lo sperimento, che questa attitudine opportunista e ideologica è la degenerazione di una nostra facoltà più profonda e più vera, ovvero quella di COGLIERE i significati del mondo. Che ci sono e dicono cose precise. Il mondo intero è una grande e viva storia, il mondo intero è la manifestazione (anche) materica di messaggi universali e profondi dello Spirito. E noi siamo la parte di mondo (o magari… una delle parti!) che è capace di leggere questi messaggi e rielaborarli creativamente. Quando lo facciamo per dominare (come fa il Cortes raccontato da Todorov, ad esempio) creiamo a nostra volta una relazione abusiva rendendoci boia su vittime vegetali, animali, umane, persino ideali e spirituali. Ma esiste un modo diverso di leggere capire comunicare, un modo positivo e vitale, e più rispondente alla nostra stessa fisiologia. Perché anche il carnefice paga pegno, non dimentichiamolo!
In tutto questo, il filo conduttore torna per me a essere il Femminile. Ricercare NEL FEMMINILE le tracce della relazione di abuso non significa assolutamente dare la colpa alla donna vittima, sbaglia chi lo fa. Ha più a che fare con un percorso di possibile liberazione, una specie di ascesa a un livello superiore. Di tutte e tutti noi. E non è una cosa che arriva dopo, anche questo va detto, nella fiaba i salvatori della ragazza sono i fratelli, ma quel tipo di salvataggio è tardivo, in fondo, rispetto a quello sapiente a cui alludo io (rappresentato in alcune versioni della fiaba dalle sorelle della protagonista, appunto).
Tale percorso non lo può fare la vittima da sola, ovvio, e non lo farà certamente il carnefice, figuriamoci. Lo può fare chi lo può fare, e se può significa che deve, che ne ha una responsabilità.
Se ce la facciamo, stiamo attente alle barbe blu e restiamo vicine a chi di noi non le vede. Alla fine in tutto sto papiro ero partita per condividere essenzialmente questo.
