Qualche tempo fa, il blogger e scrittore Vito Introna mi ha posto qualche domanda sul fenomeno del self publishing.
L’autopubblicazione è una realtà riguardo la quale ho una certa esperienza, grazie al mio lavoro con Studio83, agenzia di servizi letterari che tra le prime in Italia si è occupata degli autori emergenti, di aiutarli, difenderli e affiancarli nel corso del loro esordio.
La chiacchierata virtuale con Vito è stata stimolante. Più che domande, ha messo sul piatto delle questioni aperte. Riguardano non solo l’autopubblicazione in sé, ma anche la promozione, i gruppi di autori, il blogging, l’editoria digitale… tutto dal punto di vista di chi cerca di “uscire” in modo non tradizionale.
La strada del futuro, a mio avviso, è la Pubblicazione Indipendente. Un’evoluzione del “self ” e “auto” nella misura in cui lo scrittore non fa più tutto da solo, un click qui, un software lì, ma si affida a professionisti per produrre un testo che rispetti degli standard elevati di riconosciuta qualità. Dire se un romanzo è bello o brutto non è semplice; stabilire se è impaginato correttamente e ben editato è pacifico.
Oltre a me, Vito ha intervistato altre persone: scrittori, curatori, operatori del settore. Leggendo il suo post in due parti, intitolato Self Publishing sì/Self Publishing no trovi i pareri di Alessandro Forlani, Francesco Troccoli, Dario Tonani, Glinda Izabel, Greta Cerretti, Laura Costantini e Loredana Falcone. Paragonando le loro differenti risposte alle stesse questioni, puoi farti un’idea di come gran parte del lavoro dello scrittore e dell’operatore professionale sia legato a una sua propria visione, a una mentalità diversa per ognuno, che spesso condiziona anche le scelte e i giudizi.
Ognuno ha la propria filosofia. Nel post che ho linkato ce ne sono di interessanti e diversissime tra loro. Ecco la mia!
Il self publishing digitale sta diventando una vera e propria via alternativa alla pubblicazione. Non è raro trovare autori già pubblicati con case editrici free che integrano il proprio catalogo con ebook autoprodotti. Secondo voi questo canale, capeggiato dal sito di Amazon, può mettere in crisi l’editoria tradizionale?
Quella dell’ “editoria tradizionale” è una categoria chiamata molto in causa, ma a mio avviso è fuorviante definire il sistema editoriale di oggi come “tradizionale”: parlerei piuttosto di editoria “attuale”. Nulla può mettere in crisi l’editoria attuale, più di quanto non facciano già meccanismi interni al proprio sistema e contesto. L’editoria attuale è un meccanismo complicato che di fatto si sottrae alle regole del normale mercato, il che non è di per sé un problema, se non fosse che essa non è capace di proporre alternative e continua a vivacchiare senza darsi uno statuto differente, in un contesto in cui l’offerta (di libri) supera la domanda (dei lettori e di lettori). E questo ultimo fattore vale anche per il self-publishing, che al momento trova il suo mercato negli autori e ha ancora solo in nuce le potenzialità infinite del suo domani.
- Il fenomeno del POD sembra essersi allargato ben oltre le vecchie stampe congressuali e di partito. Un tempo i servizi tipografici costituivano l’alternativa elitaria alle copisterie, oggi invece vari editori, anche di discreto blasone, creano dei veri e propri sottomarchi che offrono servizi di Print on Demand. Tali sottomarchi immettono nel circuito pubblicazioni non sempre di buon livello, poichè in genere prive del benchè minimo servizio editoriale. Come valutate questa pratica commerciale?
È una pratica commerciale nota e usata, non appartenente al mondo dell’editoria “tradizionale” ma comunque a pieno regime da qualche anno. Essendo a pieno regime, dal punto di vista commerciale è una pratica valida perché funziona e quando all’opportunità unisce la qualità è un sistema come un altro di pubblicazione: siamo agli inizi di una nuova era ed è curioso come sotto molti aspetti stiamo ricalcando inconsapevolmente pratiche diffuse anche nel primo Settecento, alba della diffusione della stampa libraria.
- A oggi spuntano come funghi blog amatoriali e semi amatoriali di sedicenti scrittori, editor e/o agenti letterari.Spesso basta un piccolo investimento iniziale per mettere su un sito ben funzionale ed esteticamente attraente, attraverso il quale offrire servizi editoriali non sempre all’altezza delle promesse. Si tratta di semplice speculazione sulla vanità dell’esordiente o ritenete che vi siano altre ragioni alla base del fenomeno?
La “speculazione sulla vanità dell’esordiente” è una realtà diffusa, ma è un luogo comune ancora più diffuso.
Se qualcuno offre un servizio di qualità scadente e al di sotto delle proprie stesse promesse, qualsiasi esso sia, sta semplicemente lavorando male e probabilmente chiuderà presto, dato che gli esordienti non sono minus habens ma in questo caso clienti di servizi, che solitamente si informano, dopo una fregatura si fanno i conti in tasca e in generale sono aperti al miglioramento e al lavoro sulle proprie cose (in dodici anni di lavoro con gli autori, la mia esperienza va in questo senso).
Se invece offro un servizio utile e di qualità e trovo persone che ne traggono beneficio, allora sto facendo un bene a me stessa e ai miei clienti, che non sono necessariamente vanitosi solo perché vogliono esprimersi in modi tradizionalmente preclusi ai più.
A dire il vero, se si pone come fatto che molte piattaforme siano aperte da “sedicenti professionisti”, forse la vanità è da questa parte. Mi sono imbattuta molto spesso in semidilettanti alteri, protagonistici e dogmatici: questa può essere una ragione del proliferare di iniziative varie, molte delle quali presto si sgonfiano o diventano altro.
Un’altra ragione è che semplicemente ora si può fare, ci sono i mezzi tecnici e quindi giustamente gli esperimenti fioriscono.
- Non è raro trovare gruppi di scrittori self published che si recensiscono e acquistano a vicenda, in modo da mantenersi reciprocamente in cima alle classifiche di vendita e così attrarre nuovi acquirenti. Rovescio della medaglia è il profilerare di commenti e recensioni “Fake” da parte di cordate avversarie, con innesco di frequenti discussioni sui social network, sui contenuti delle quali è meglio soprassedere. Sono solo goliardate o il fenomeno è indice di qualcos’altro?
Non vedo goliardia in questi comportamenti, come in generale in questo settore.
Il “fare gruppo” è una tendenza umana, universale e capillare e il fatto che accada anche con scrittori autopromuoventi (non solo auto pubblicati, naturalmente) o con forumisti incalliti non mi pare un fenomeno così fenomenale. Anzi, penso che questo boom di blurb sia positivo, perché finalmente permette al lettore di capire cosa c’è dietro la promozione libraria in generale, e quindi dopo la prima fregatura diventa più critico, più sveglio e più incline a formarsi una propria opinione più personale e autonoma.
[Tanto tempo fa, però, la pensavo diversamente: leggi il post Fantasmi di mezzanotte]
- A volte gruppi di scrittori e editor amatoriali si confederano in piccole case “autoeditrici” rivolte essenzialmente a se stessi e ai propri lavori. In genere queste aziende si appoggiano su un pod o su una tipografia esterna e hanno vita breve. É solo folklore letterario?
È un modo come un altro di mettere a frutto le proprie passioni. Ho visto (e la storia ha visto) nascere in questo modo realtà interessanti e importanti, e con le stesse caratteristiche conosco più di un editore che si è bruciato. La patente del successo te la dà chi ti compra, l’alloro da “poeta laureato” chi ti legge. Ma la dignità del lavoro nessuno può togliertela: o ce l’hai, e vai avanti felicemente comunque vada; o parti già menomato, e presto dovrai cambiare, per non morire.
- E infine l’editoria digitale, che in Italia ancora stenta a decollare, è davvero così pericolosa per il guadagno dell’editore o le paure delle major sono ingiustificate?
L’editoria digitale non ha nulla di diverso da quella “normale”, a parte i supporti. Anzi, è più semplice, perché l’editore non ha più costi di magazzino, tasse sulla carta, tipografia, librai morosi o reticenti… quindi dovrebbe essere una manna per tutti, se solo ci fosse una cultura più operativa, giovane, dinamica, tecnologica.
È questo che fa paura dell’editoria digitale: è una cosa nuova e bisogna impararla da zero, a volte anzi crearla, e finora non molti hanno avuto questa intelligente operosità.
Come ho detto anche all’inizio, a mio avviso i problemi dell’editoria sono molti, la maggior parte interni e cancrenosi già da tempo. E non è detto che i mali dell’editoria dobbiamo sentirli necessariamente come nostri. Pensiamo alla lettura, alla scrittura, al dialogo, all’incontro… morta una categoria imprenditoriale, se ne farà un’altra, e stavolta molte più persone potranno contribuirvi, con le proprie forze e possibilità.