Contro la definizione di antropocene – Note preliminari

Su Solarpunk Italia proseguiamo la ricerca di strade e idee alternative a quelle che ci circondano, e che il sistema vorrebbe farci passare come INEVITABILI.

Ad esempio, leggendo questo bel pezzo della studiosa canadese Ariel Kroon, tradotto da Silvia Treves, possiamo chiederci quanto sia sensato scaricare sull’individuo e sulle condotte personali un problema che è chiaramente sistemico.
Detto in soldonissimi, a che serve fare la raccolta differenziata, se poi a inquinare di brutto sono le grandi aziende?

Ciò non significa che il comportamento personale sia irrilevante, io penso ad esempio, come dimostrato da grandissime maestre e maestri di lotta politica, che tutto il potere sta nello spirito e che, come affermava Ursula K. Le Guin, “non si può fare la rivoluzione, si può solo essere la rivoluzione”.

Allo stesso tempo, conoscere i meccanismi del complesso mondo che ci circonda è una necessità per poter vedere “faccia a faccia”, senza mistificazioni.

E una grande mistificazione di questo momento, secondo me, è la parola “ANTROPOCENE”: molto di moda, molto d’impatto, ma è una parola che finge soltanto di parlare del problema, e così facendo lo confonde e lo banalizza.
(Un po’ come la narrazione mainstream del “salva il mondo, compra la borraccetta di alluminio riutilizzabile, disponibile in tre diverse gradazioni di verde!”)

“Antropocene” è un’etichetta superficiale che è parte del problema che vorrebbe descrivere, e che anzi lo peggiora.
La lettura del libro di Paul Crutzen, lo studioso che ha inventato la definizione, mi ha rinforzato questa idea: “Benvenuti nell’Antropocene” è un saggio intellettualmente arido, consequenzialista, prono all’esistente, spento.

Per capire meglio, in questi ultimi mesi ho letto anche molto altro.

Sto preparando un piccolo percorso di lettura, e anche approfondimenti come questo di Ariel Kroon mi convincono sempre di più che è un’altra la parola che dovremmo usare, una parola diversa, schierata, che inchioda il moloch alle sue ineludibili e insanguinate responsabilità.

Quella parola è CAPITALOCENE.

Stay tuned! 😉