“Il mondo di ieri” di Stefan Zweig: perché leggerlo, qui e ora

Da un paio di giorni vedo girare su fb una citazione dalla memoria “Il mondo di ieri” di Stefan Zweig, un copia incolla di alcune frasi estrapolate dal testo, relative al clima di isterismo-interventismo precedente alla Prima Guerra Mondiale.

Shakespeare venne bandito dai teatri tedeschi, Mozart e Wagner da quelli francesi ed inglesi… bisognava anche dal fronte interno insozzare e vilipendere i grandi morti dell’avversario, che da secoli riposavano nelle loro tombe. Il perturbamento degli intelletti divenne sempre più assurdo… Non vi fu né una città né un gruppo che riuscisse a sottrarsi a quell’isterismo dell’odio… l’ancora intatta credulità dei popoli nella unilaterale giustizia della propria causa costituì il più grande pericolo.
A poco a poco in quelle prime settimane del 1914 diventò impossibile scambiare una parola ragionevole con qualcuno. Anche i più pacifici e bonari erano presi dall’ebbrezza del sangue… Amici coi quali non avevo avuto mai dissensi, mi accusavano apertamente di non essere più austriaco.

Una citazione azzeccata: consiglio però di leggere TUTTO il libro, è disponibile in varie edizioni anche economiche, e racconta, in modo vivido e urbano, tipico dello scrittore navigato che Zweig era, dell’Europa precedente alla Prima Guerra Mondiale… e non solo.

Apriamo infatti, dopo una premessa di cui parlo più avanti, con il racconto dell’infanzia dell’autore, nello scenario della Vienna mitteleuropea molto borghese e castigata, ma anche colta, industriosa e ottimista, piena di fiducia per il futuro.

Zweig la racconta in modo quasi incredulo, come se stesse parlando a degli alieni di qualcosa di così lontano da mettere alla prova la propria stessa ragione. Proprio questo ci aiuta ad avvicinarci a quel mondo perduto, come se fossimo in un regno di ombre, ma portati per mano da un Virgilio attento, comprensivo, e sottotraccia un po’ triste.

Dico “sottotraccia”, perché poi la tristezza aumenta, e la discesa nei gironi si fa davvero tale.

Il riarmo, il militarismo, la retorica guerrafondaia che trascina l’Europa nel macello della Prima Guerra Mondiale sono descritte dallo sguardo di un intellettuale che assiste incredulo alla corsa agli armamenti delle parole e delle relazioni, ancora prima che degli eserciti.

Chiunque provi sconcerto nel vedere bacheche di amicə e familiari, solitamente ragionevoli e mansuetə, riempirsi di bandieroni nazionalisti, editoriali razzisti, e racconti preteschi su nazisti buoni e russi pronti a stuprarci nei nostri letti se alziamo il termostato… potrà sentirsi molto vicinə allo smarrimento e alla tristezza rievocati da Stefan Zweig, riguardo a quegli anni.

Zweig allora è già celebre: subisce pressioni esplicite e implicite a schierarsi, e le rifiuta. Le rifiuta in modo elusivo, a volte pavido, ed è il primo a rievocarlo, con un certo imbarazzo che percepiamo al di sotto del suo innato savoir faire.

Racconta poi delle sue poche esperienze belliche propriamente dette, con grande turbamento rievoca un treno di trasporto feriti e la costernazione, l’aperto sconvolgimento che ciò gli provoca. Non si dà arie da militare o da eroe, Zweig, umanamente si presenta smarrito, sconvolto, senza preoccuparsi di fare bella figura nel confessare che la sua fama di autore gli permette di evitare i combattimenti e tenersi ben lontano dalla violenza di cui ha orrore.

Dopo la Prima Guerra Mondiale, non c’è che una nuova discesa.
Oltre a un interessantissimo resoconto del suo viaggio in Unione Sovietica, dove all’ammirazione si sostituisce presto la paura e l’angoscia nel rendersi conto di essere stato attirato in una recita ben congegnata, possiamo di nuovo vivere i “torbidi” che preludono a ciò che noi sappiamo, e che Zweig non farà in tempo, chissà se per sua fortuna, a vedere compiersi del tutto.

L’inflazione, i tumulti politici, le difficoltà… Ho trovato particolarmente significative le menzioni alla “ricollocazione” degli intellettuali belligeranti e leccastivali, che Zweig aveva visto in azione nella propaganda interventista: i quali leccastivali vengono a volte ben remunerati, altre volte traditi e lasciati al ludibrio.

Servirebbero, queste pagine centrali del libro, ai vari Gramellyny che oggi ci propinano fuffa ben allineata, grondante violenza (e saliva). Per metterli in guardia: scodinzolare al seguito del padrone non li terrà al caldo quando il padrone non avrà più bisogno di loro.

E servono a tuttə noi, queste pagine, perché descrivono l’avvento di una nuova calamità, prima che di una nuova guerra: il nazismo infatti non è un evento improvviso, ma un climax lento, ben costruito, propinato alle masse impermeabili alle lezioni della storia.

“Il nazionalsocialismo, con la sua tecnica di inganno senza scrupoli, si guardò sempre dal proclamare l’intero radicalismo delle sue mete prima di avervi allenato il mondo. Questo era il suo prudente metodo: una dose seguita da una piccola pausa, poi un’altra dose. Una pillola e un momento di attesa, per vedere se non era troppo forte, se la coscienza mondiale tollerava quel dosaggio.”

Zweig prende di nuovo posizione, non in maniera plateale, ma comunque in modo sempre più deciso: è ebreo, ma è anche un autore “bestseller” venduto in tutto il mondo. La seconda condizione, di vantaggio, non è usata per coprire la prima, anzi: Zweig si nega ai compromessi e ai corteggiamenti dei filonazisti, cerca connessioni con colleghi e partecipa a movimenti intellettuali di pace, tessendo una rete di amicizia ideale con pacifisti di ogni paese (molto belle le pagine commosse in cui rievoca la personalità di Romain Rolland, intellettuale che pure ho tanta voglia di conoscere).

Zweig rifiuta i nazionalismi, ma anzi fa sempre appello alla comune identità europea, quando non umana, nel senso migliore del termine.

E lo paga: subisce l’ostracismo pubblico, e privatamente tocca con mano l’ostilità di chi fino al giorno prima era suo amico, e ora lo tradisce e lo disconosce per amore di calcolo politico, o semplicemente di mero conformismo.

Non posso dire che questo racconto non mi abbia toccata: sono due anni che dichiaro pubblicamente le mie posizioni politiche dissidenti relativamente a ciò che stiamo vivendo, e sto imparando molto sull’umanità, sull’amicizia, sulla lealtà. Come mi ha ben scritto una scrittrice amica: stiamo facendo un corso accelerato di natura umana, e fa male; ma faremo bene a non perdere nemmeno una lezione se vogliamo dare un qualche senso a questo grande dolore.

Leggere il testo memoriale di Zweig è un altro modo per non buttare via ciò che stiamo vivendo e ciò che ha vissuto lui. Entriamo nella vita di un uomo di spessore, disposto a raccontarcela non solo per condividere ciò che ha passato, ma anche per metterci a disposizione ciò che ha capito, con grande generosità: questo è un dono prezioso.

Zweig scrive “Il mondo di ieri” nel 1941: si trova già in Brasile, dove è dovuto fuggire.
È infine fuggito dall’Europa, è apolide ed esule; vive la cosa con un dichiarato senso di lutto, che racconta già dalla premessa; si sente rifiutato, sbalzato qua e là dalla Storia; eppure, trova la lucidità e il coraggio per guardarsi indietro e conservare anche il bello che è stato, per darlo a chi verrà, per non lasciare che tutto sia perso.

Nel febbraio 1942, Zweig viene trovato morto, insieme a sua moglie, Lotte Altmann, nella loro casa a Pétropolis, in Brasile. Non fa in tempo, dunque, ad assistere alla Seconda Guerra Mondiale e a quello che è stato definito da più voci la morte di ogni possibile rappresentazione: la Shoah.

La conclusione degi inquirenti che trovano Stefan Zweig e Lotte Altmann privi di vita è che si siano entrambi suicidati: è la versione che passa come definitiva, e che troviamo sui libri.

Eppure, non mi convince: perché “Il mondo di ieri” è una memoria triste e addolorata, ma mai disperata, soffusa di un anelito di forza e persino di speranza.

Non mi convince, perché in quei giorni brasiliani Zweig ha inaugurato una nuova fase della sua attività: dalle antiche manovre intellettuali sta forse passando a un attivismo più dichiarato. Lo dimostra il fatto che poco prima della morte visita a George Bernanos, autore francese pacifista anch’esso esule in Brasile, e più attivo, e i due preparano insieme iniziative.

(Posso aggiungere anche un mio pezzettino: sia Stefan Zweig, sia George Bernanos sono stati pubblicati in Italia già dagli Anni Venti da Enrico Dall’Oglio, giovane fondatore della casa editrice Il Corbaccio. Con loro, e con altri nomi della cultura europea più anticonvenzionale e “scandalosa”  – come Radclyffe Hall, David H. Lawrence e altrə – Dall’Oglio ha sfidato la censura fascista, fino a dover scappare in Svizzera alla fine degli Anni Trenta, condividendo con Zweig, seppur momentaneamente, il destino di esule politico).

La versione del suicidio non mi convince, infine, perché le indagini e i pasticci sul luogo del ritrovamento dei corpi non fanno ben pensare, come racconta Fabio Troncarelli in questo bel pezzo per la Bottega del Barbieri: Stefan Zweig e il mistero del “gran finale”.

Lo scrittore fece un lungo e apparentemente inspiegabile viaggio in una regione poco frequentata per andare a trovare l’intellettuale francese Georges Bernanos, cattolico e monarchico, ma anche gollista e antifascista militante in Brasile. I due prepararono insieme una dichiarazione pubblica contro il Nazismo, oggi perduta, ma ricordata bene dal segretario di Bernanos, Geraldo França de Lima, intervistato da Dines.

Zweig non aveva mai fatto fino a quel momento qualcosa del genere ed era stato addirittura rimproverato per il suo silenzio, che invece aveva un’ indubbia utilità perché gli permetteva di lavorare nell’ombra ed aiutare molti ebrei a fuggire dai Nazisti. Non essendosi mai messo in urto neppure con filofascisti come Salazar in Portogallo e Vargas in Brasile, lo scrittore poteva sfruttare le sue buone relazioni e poteva concretamente ottenere un visto per i suoi amici e addiritttura per la sua ex-moglie.

Ebbene, negli ultimi giorni, Zweig ebbe un sussulto di dignità e decise di compromettersi pubblicamente, comportandosi con lo stesso impavido orgoglio con cui aveva scritto appelli in favore della Pace, collaborando con scrittori francesi nemici dell’Austria, come Romain Rolland, durante la Prima Guerra Mondiale.

Stefan Zweig e il mistero del “gran finale”, di Fabio Troncarelli

Una nota interessante: nella sua memoria, Zweig non fa mai menzione alle persone da lui aiutate a espatriare. Questo è comprensibile, se pensiamo che non volesse compromettere nessuno e tenersi le mani libere per agire ancora nell’ombra.
Ma se invece avesse meditato un suicidio, magari avrebbe avuto anche la voglia di rivelare questo pezzettino? O era troppo signore per volersi vantare?

Non posso saperlo, ma è una domanda che mi sono fatta.
Non avrà mai risposta. Ma forse non importa.

Stefan Zweig è stato un autore prolifico, versato nelle biografie, amato dal pubblico, a volte convenzionale e borghese (oggi diremmo mainstream) ma comunque sempre presente in prima persona in ciò che scriveva; poco compiacente verso mode e gusti grezzi, perché ancora “perbene” nel senso tardoottocentesco.

(Questo suo essere perbene non gli ha impedito di lasciare il segno in letteratura: penso alla sua “Novella degli scacchi”, ultima opera prima della morte/suicidio, che in alcuni passi mi ha raggelata, e che Paolo Maurensig omaggia scopertamente nel suo altrettanto raggelante “La variante di Luneburg”).

Nonostante la sua natura poco battagliera e a volte pavida (lo ammette apertamente in “Il mondo di ieri”), Zweig si è comunque sempre attivato per ciò in cui credeva, e ha contribuito come poteva a discorsi di pace e alla conservazione del bello della cultura di questa Europa di cui oggi non sono la sola a vergognarmi profondamente.

Anche in nome di questa vergogna, che sento sempre più condivisa, “Il mondo di ieri” di Stefan Zweig dobbiamo leggerlo per intero, per aprire una finestra sull’Europa di cento anni fa e non perdere definitivamente la fiducia di poterne realizzare una nuova, bella e di cui essere fierə.

E dobbiamo leggerlo anche per prepararci a cosa ci aspetta, se decideremo di essere fedeli ai principi in cui crediamo  – uguaglianza, equità, libertà, pacifismo, diritti civili, istruzione, sanità pubblica… – ora che il mondo si prepara chiaramente a tradirli di nuovo.

Abbiamo di fronte una nuova, lunga battaglia, in cui tante conquiste verranno messe in discussione. Sarà una battaglia più umana e più sostenibile, avendo dalla nostra le parole di chi ha già visto accadere qualcosa di molto simile, ed è riuscito a restare onesto, pacifico, amico, umano, e a non farsi strappare via la sua parte migliore: i suoi ideali, le sue aspirazioni, il suo amore per la pace, per la cultura e per l’amicizia tra i popoli.

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