Giornata della Terra 2022 – Meno doodle, più scarabocchi

Oggi è la giornata della Terra, e se google le dedica un bel doodle non posso che preoccuparmi, e come sempre cercare di aprire lo sguardo. Trovo necessario contraddire, domandare, se possibile scarabocchiare: forzare quella prospettiva preconfezionata e tanto da brave persone, che ci viene calata in testa per farci sentire a posto, e dunque evitare che ci facciamo una domanda in più…

Bisogna invece che ci “incattiviamo”: che ci smuoviamo, che roviniamo il disegnino puccioso, che cerchiamo i punti ciechi della storia, che ci liberiamo dai confortanti automatismi nei quali ci vuole la narrazione corrente, costruita e diffusa dalle stesse megacorporazioni che di fatto sono causa e insieme effetto dell’attuale situazione.

Ancora appresso a loro, stiamo?

La situazione, parliamone: è brutta, e non è “l’era dell’antropocene”, non è “il risultato della follia umana”, non è “il cambiamento climatico” o altre innocue amenità.

È il prodotto misurabile di un preciso sistema economico, che si sta mangiando tutto e tutti e che, ormai dovremmo averlo capito, ha una vocazione bulimica, genocida e suicidaria.

È il capitalocene, baby.

E se il doodle di google ci coinvolge, significa che ci siamo dentro fino al collo, ancora sotto l’incantesimo del “migliore dei mondi possibili”.

Quello in cui non siamo più capaci di coltivare il nostro orto perché pensiamo che qualcuno lo faccia meglio e per il nostro bene.
Quello in cui il padrone dell’informazione si preoccupa genuinamente per il bene del mondo e intende “sensibilizzarci” (grazie, padrone, prometto che abbasso il termostato e mi flagello perché i coralli scompaiono, mentre tu ti godi i profitti al calduccio).
Quello in cui la guerra è pace, la paura è salute, un lasciapassare è libertà.
Quello in cui ognuno di noi può diventare multimiliardario dal proprio garage se ci crede ed è disposto a lavorare duro nel ristorante del bravo bryatore di turno!

Ecco dunque quattro consigli di lettura per la Giornata della Terra, che spero possano aiutarci ad aprire una nuova strada, davvero nostra e davvero libera, per vedere dove siamo e dove possiamo andare.

“Clima, capitalismo verde e catastrofismo” di Philippe Pelletier, Elèuthera editrice, 2021.

Il saggio attacca frontalmente la costruzione retorica della “emergenza climatica”. Con un tono a volte troppo pamphlettistico, che quindi appiattisce un po’ le argomentazioni, Pelletier ci fornisce comunque una bella sveglia.
A fare disastri non è “il riscaldamento climatico” (brutto cattyvaccio) ma precisi comportamenti umani con precisi responsabili. E spesso le istituzioni autopreposte alla “difesa della Terra”, le COP e la stessa IPCC, sono conglomerati di potere occupati dai soliti e panciuti nomi, che propagandano approcci di tipo vecchio, classista, scientista, approssimativo, in sostanza dannoso.
Quis custodiet ipsos custodies? Chi controlla i controllori?

Clima, capitalismo verde e catastrofismo

Importanti convegni internazionali, titoli di testa dei giornali e dichiarazioni militanti declamano in continuazione che dobbiamo «salvare il clima», senza vedere il carattere assurdo e al tempo stesso pericoloso di una tale formula. Assurdo perché, se il clima riguarda un fenomeno fisico, come pos-
siamo salvarlo? Possiamo ragionevolmente disquisire di come «salvare i vulcani»? Pericoloso perché, se l’essere umano può «salvare» un fenomeno fisico, ciò equivale a conferirgli un enorme potere, un potere che legittima tutti i progetti megalomani di geoingegneria. (…) Il «Salvatore» che scaturisce dal
principio del «salvare» è solo uno degli aspetti di questa paradossale riabilitazione dello scientismo prometeico.

Philippe Pelletier, “Clima, capitalismo verde e catastrofismo”

“Capitalocene. Appunti da una nuova era” di Silvio Valpreda, ADD editore, 2020.

Un saggio, un libro illustrato, un racconto di viaggi, una discesa nei meccanismi oscurati del sistema che in pochi secoli ha depredato tanto il pianeta che l’umanità della propria vitalità, intruppando tutto in logiche di competizione economica inique e predatrici.
Perché la vera contrapposizione non è e non è mai stata tra “umanità” e “natura”: i guai che iniziamo a fronteggiare ora derivano invece dalla contrapposizione tra “natura”, dentro la quale sta anche l’umano, e “denaro”, ovvero capitale.

E se gli esseri umani non fossero altro che uno strumento utilizzato dal denaro per poter agire sulla natura? Volevo capire cosa stesse succedendo, dunque era arrivato il momento di mettersi in viaggio.

Silvio Valpreda, “Capitalocene. Appunti da una nuova era”

“Beni Comuni. Piccola guida di resistenza e proposta” di Ugo Mattei, Marotta&Cafiero, 2020.

Una breve e chiara introduzione a una possibile “strategia di uscita” dal micidiale incastro nel quale si è cacciata la modernità: quello tra Stato e mercato, due poteri oppressivi che pur essendosi alle volte contrapposti rispondono agli stessi principi sostanziali, in primis l’esclusione.
I beni comuni di tradizione medievale (sì, esatto, il tremendo Medioevo ha qualcosa da insegnarci…) possono essere una terza via, una rinnovata dimensione di potere-podere collettivo, che eroda il dominio autoritario, blocchi lo sfruttamento delle risorse e dunque lasci spazio anche a chi non può comprare né votare: le generazioni future, le foreste, le specie viventi tutte.

(Nota a margine: la Marotta&Cafiero editore è una casa editrice indipendente, rilevata da un ragazzo di Scampia, Rosario Esposito La Rossa, che da un primo romanzo in cui raccontava la difficile vita del suo quartiere è diventato un bravo editore, aggiudicandosi perfino un saggio di Stephen King in esclusiva. Cercatelo, seguitelo, sostenetelo, se lo merita.)

“Matriarchè. Il principio materno per una società egualitaria e solidale” a c. Francesca Colombini e Monica Di Bernardo, Exòrma edizioni, 2013.

Dopo tre consigli #tuttimaschi non posso non citare anche questo bel saggio, denso di casi studio, testimonianze, relazioni ed esempi pratici di come una società migliore e davvero ecologica sia possibile e sia femminista.
La degradazione del nostro ecosistema non è un “problema ambientale” ma un problema sociale, perché è legata allo sfruttamento delle risorse e delle persone senza un’assunzione di responsabilità ma anzi scaricando i costi sui più deboli e su chi non può difendersi. Questo modello di “sviluppo” ha cannibalizzato il pianeta e noi in pochi secoli, ma non è obbligatorio né inevitabile, anzi, va superato: perché “archè” significa inizio, ma significa anche “potere”, e di questo potere noi non possiamo, non dobbiamo più avere paura, ma assumerlo in uno sviluppo che sia davvero tale: spirituale, relazionale, gioioso, rispettoso, comune.
L’equilibrio, il consenso, il riconoscimento, la cura, sono virtù presenti nelle pratiche femminili, in primis in quelle maternali: anche il femminismo può e deve riappropriarsi di questa forza, che in questo modo non sarà usata per controllare le donne, ma diventerà un patrimonio di tutte per il bene comune. E per la Madre Terra!

Una società che intende proteggere la Terra come fosse una madre vivente darà inevitabilmente dignità e centralità alle donne apportando un cambiamento di visione dell’economia e dei processi decisionali. (…)
La nostra è un’economia che funziona per un centinaio di grandi imprese, dove lavorano un milione di persone, forse anche tre milioni; ma in ogni casonon funziona per i sei miliardi o più di abitanti del pianeta come per i trecento milioni di altre specie. Bisogna quindi dare maggiore valore ad altri tipi di relazione, come ad esempio la relazione d’amore con i propri figli o il rapporto che si dovrebbe avere con la Madre Terra. Si può cominciare a immaginare in modo diverso la produzione di beni, funziona affidata al capitale ma che in verità si basa sulle risorse della natura e sul lavoro invisibile delle donne.

Vandana Shiva, dall’introduzione a “Matriarchè”.

Buone letture. E buoni scarabocchi irriducibili e disallineati!

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