Miyazaki non mi piaceva.
Non capivo il perché, non mi è mai piaciuto, per un sacco di tempo.
Poi, il perché l’ho capito: non per un’epifania ma grazie allo studio culminato in un corso specifico insieme all’eccezionale Henry Lien.
Ora sono in grado di apprezzare i lavori di Hayao Miyazaki, non con la visceralità che leggo in giro, ma con grande piacere di sicuro.

Quello che mi ha permesso di arrivarci è l’aver appreso che Miyazaki ha il pregio e il merito di portare allo sguardo occidentale, il nostro, una struttura narrativa di tipo diverso da quella a cui siamo assuefatt*.
Conosciamo bene concetti come l’arco narrativo, il viaggio dell’eroe, il climax, la simmetria narrativa, la trasformazione del personaggio, il colpo di scena… Bene, siate liete e lieti di sapere che non sono concetti universali.
Non esiste “la struttura della fiaba”, esistono “tante strutture della fiaba e della storia”, e ce ne sono molte altre possibili.
Senza colpi di scena.
Senza climax.
Senza arco di trasformazione del personaggio.
Senza eroe.
Anche senza dramma: un messaggio di un’opera come “Il mio amico Totoro”, come spiegava Henry con le lacrime agli occhi, è che tutto può andare bene, tutto può andare bene ancora per un altro po’, ed è bellissimo.
Se non è solarpunk questo.
(E tanto perché si sappia: Henry ha fatto venire le lacrime agli occhi anche a me! Grazie!)
CONSIGLIO DUNQUE la lettura del post di Riccardo Muzi su Solarpunk Italia: “Nausicaä della valle del vento” di Hayao Miyazaki

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“Covidistan. Un diario di viaggio“