Mercoledì 10 maggio, alle 15:00, ho avuto il piacere di partecipare come relatrice in un incontro della rassegna culturale “Viaggio verso Altrove”, organizzata dal liceo scientifico Paolo Frisi di Monza, grazie all’invito di una delle coordinatrici della rassegna, la prof. Cristina Marrone.
Su sua richiesta, ho raccontato a studenti e studentesse presenti che cosa è la fantascienza, come è nata, come si articola nei suoi sottogeneri e che cosa può darci. E la ringrazio di cuore di avermi coinvolta, dandomi la preziosa possibilità di trasmettere un po’ di meravigliosi argomenti a persone giovani e in corso di studi.
Cos’è la fantascienza? Voglio dire: cos’è davvero la fantascienza?
Vi stupirebbe sapere che “lo spazio” NON è una componente necessaria della fantascienza, e che alcune storie “spaziali” non sono storie pienamente fantascientifiche?
La fantascienza è uno sguardo sul qui e ora: guarda al domani per parlare dell’oggi, guarda all’alieno per indagare l’umano… e così via. È il genere più “contemporaneo” e più attento che ci sia, persino il più vero, che ci insegna a liberarci dalle bugie della cosiddetta realtà, per cercare il senso delle cose.
Parliamone insieme, dedicandoci anche alla pratica: come si scrive un racconto di fantascienza? Come essere davvero originali? E quanti tipi di fantascienza ci sono?
Tutto molto complesso, ma anche molto semplice: tutto inizia con un passo oltre lo specchio.
In passato mi è capitato più volte di parlare nelle scuole.
Sono stata alle elementari, a raccontare a una terza elementare “Come nasce un libro”.
Sono stata alle scuole medie, in un incontro di quattro classi, sulla scrittura di racconti di fantascienza.
Sono stata in università, due volte: ospite di Nicoletta Vallorani per una lezione su “Mixtopia” e invitata dal Collettivo Ippolita per ragionare su fantascienza femminista e hacking del sé.
Il liceo mi mancava!
Sono molto felice di aver trovato un ambiente accogliente (ringrazio il vicepreside Fabio Resnati per il gentile benvenuto) e persone di diverse età (essendo al pomeriggio, l’incontro era aperto) che hanno contribuito con interventi e risposte alle mie domande.
Come era prevedibile, ragazzi e ragazze non hanno reagito alle interlocuzioni dirette, ma per fortuna dagli adulti sono arrivati assist che mi hanno consentito di entrare in relazione reciproca e costruire un sentiero di riflessione condivisa.
Devo anche dire che i e le liceali sono state comunque attente e reattive, e per fortuna non prendevano appunti chinate sui rispettivi schermi, cosa che mi è capitata con le e gli universitari, con un effetto di leggero isolamento nel parlare.
Ciò detto, la mia “consegna” era parlare della fantascienza, della sua situazione, e anche del mio lavoro, della scrittura… un tema abbastanza ampio da farmi tremare le vene dei polsi, e che ho cercato di circoscrivere basandomi sul tema della rassegna e sulla possibile utilità per il percorso di studi delle scuole superiori.
Ecco qual è stata la mia scaletta di massima:
1 – Fantascienza: quando, come? Prima delle definizioni, il territorio: la sua nascita con “Frankenstein”, il suo sviluppo come voce critica di fronte ai profondi cambiamenti e ai nuovi conflitti sociali del XIX secolo, con la nascita della distopia; in parallelo all’affermarsi della forma romanzesca letteraria moderna. Il suo sviluppo nel Novecento, con lo sviluppo dell’editoria di massa, la nascita della letteratura di consumo e la difficilissima dialettica tra alto e basso, nelle scritture fantascientifiche, fino alla situazione attuale.
2 – Fantascienza: cos’è? Ho provato a definirla, tenendo a mente che le definizioni non sono leggi inscalfibili ma griglie di interpretazione e/o mappe utili per avere punti di riferimento tra i quali muoversi; e possono sempre essere cambiate. La fantascienza si muove nella narrativa romanzesca e breve, nello sviluppo razionale di un novum, nella speculazione intesa in senso letterale a partire dal significato medievale di speculum. (Qui ho mirato alto, lo so, ma al liceo possiamo ben osare).
3 – Vari generi e sottogeneri della fantascienza: hard e soft, fantascienza sociale, distopia, utopia, postapocalittico, space opera, etc. Qui sono stata favorita da una domanda diretta della prof. Marrone, relativa alla Mixtopia, al mio articolo sulle eroine utopiste nella distopia e alle dichiarazioni di Margaret Atwood, un po’ tiepide rispetto alla “fantascientificità” di “Il racconto dell’ancella”. Sempre grazie a una sollecitazione della professoressa, ho illustrato brevemente anche il lavoro in essere per il solarpunk, e cosa è questo movimento culturale.
4 – Chiusura: possiamo usare la fantascienza per andare oltre le ideologie del reale che ci vengono imposte, per demistificare le strutture di potere e di sapere nelle quali ci troviamo, e per esplorare nuovi modi di stare al mondo. Il fantastico non è intrattenimento per bambini, ma spesso l’unico modo per dire l’indicibile, per raccontare ciò che il realismo non riesce a raccontare con le sue categorie. E l’Altrove non esiste come luogo separato, molti Altrove sono qui e ora, se sappiamo vederli.
Ho volutamente aperto la conferenza con una domanda diretta: chi di voi legge o guarda fantascienza? Nessuno ha alzato la mano e ho visto qualche testa muoversi in cenni di diniego. Dopo la mia esposizione, ho fatto la stessa domanda: allora, siete ancora sicurx che non leggete nè guardate fantascienza?”
Gli sguardi divertiti e sorpresi di ragazze e ragazzi mi hanno confortata, nel sapere di aver colto nel segno.
Tra le domande che mi sono state poste in chiusura, ho apprezzato quella della prof. Monica Malberti, presente nel pubblico (e nella calorosa accoglienza precedente e successiva alla conferenza: grazie!): mi ha chiesto se la fantascienza contemporanea italiana stia rielaborando o mettendo in qualche modo su pagina l’esperienza “pandemica” appena vissuta.
La mia risposta è stata breve, dato il tempo già passato e dato che eravamo verso la chiusura: vorrei però riportarla per esteso, qui nell’articolo, a beneficio di discussione comune o per lo meno di inventario.
A mio avviso la fantascienza italiana comincia adesso a fare i conti con un’esperienza che non è ancora chiusa del tutto, e che ha bisogno di tempo per essere rielaborata.
Oltre alla oggettiva difficoltà di fare i conti con un trauma mentre ci stiamo ancora dentro, c’è un sentire che paralizza, e che riguarda la percezione di molti e molte colleghe sul fatto che “la realtà ha superato la fantascienza”: sulla base della mia definizione di fantascienza, non sono d’accordo con questo parere; lo trovo anche un po’ sprovveduto, per chi dovrebbe conoscere a sua volta il potenziale di analisi, disvelamento, denuncia, riflessione, critica e persino trasformazione della fantascienza.
Ciò detto, inizio a leggere in romanzi editi e inediti alcuni accenni alla pandemia: i più scoperti sono alle volte i meno efficaci, proprio perché non parliamo di un evento “del 2020”, ma di uno strappo improvviso il cui trauma è ancora in essere, e i cui effetti non sono ancora pienamente visibili, nemmeno sul breve periodo. Questo a mio avviso vale specialmente per chi ha scelto di adeguarsi o credere o tollerare la narrativa ufficiale: ha avuto risparmiato il dolore dell’esclusione sociale e della stigmatizzazione, ma allo stesso tempo è forse in una dimensione di elaborazione meno chiara, più gravata e confusa dalle tante bugie che abbiamo subito, rispetto a chi le ha rigettate con più decisione.
Gli effetti della pandemia, nella letteratura, e in generale del fantastico, io li vedo più nell’horror, con una rimonta del genere zombie in diverse produzioni cinematografiche e di serie TV: dove i riferimenti alla pandemia, all’infezione, ai virus, e la drammatica sensazione di pericolo e isolamento di chi tenta di salvarsi, sono riferimenti così chiari e scoperti da poter quasi rientrare, a mio avviso, nella critica sociale tipica della fantascienza, oltre che nell’esplorazione del disagio attraverso l’orrorifico.
In parallelo, anche lo sviluppo del weird è significativo, aiutato forse proprio dai drammi di questi anni: è questo un genere spurio, quasi indefinibile per definizione, molto voluto e costruito da chi scrive oltre che da chi lo cerca per leggerlo; dove l’unheimlich (non familiare, fuori posto, incoerente) la fa da padrone nel suscitare questo famoso “perturbante”, una sensazione di disagio che va dallo spiazzamento al profondo non riconoscimento del reale.
Direi che queste definizioni si attagliano bene anche alla situazione di forzato confinamento domestico alla quale siamo stati costretti a colpi di decreto amministrativo, dunque immagino che l’esplorazione di questo perturbante, non familiare e inquietante possa delinearsi come una strada artistica possibile per l’elaborazione del trauma e (ma qui temo sia l’utopista che parla) per una critica e una denuncia di quello che abbiamo subito e dell’intero sistema sociale che lo ha causato (come auspicava il critico Mark Fisher, la cui coraggiosa indagine ha avuto termine con il suo suicidio).
Dopo un’ultima domanda relativa alla scrittura a quattro mani (temo di aver usato la parola “etilico” relativa al brainstorming creativo, scusami, Elena, e mi perdoni, Ministero dell’Istruzione), ho concluso il nostro incontro, che concludeva a sua volta la rassegna, con le parole finali del discorso di accettazione del National Book Award (un premio letterario mainstream) di Ursula K. Le Guin.
Noi che siamo in confidenza con gli hobbit e raccontiamo storie di omini verdi, siamo abituati a essere liquidati come semplici procacciatori di divertimento, o a essere disapprovati aspramente in quanto sognatori al di fuori della realtà. Ma credo che, come i tempi, le categorie stiano cambiando. I lettori sofisticati stanno accettando il fatto che un mondo improbabile e ingovernabile debba produrre un’arte improbabile e ipotetica. Alpunto in cui siamo, il realismo è forse il mezzo meno adatto per comprendere o dipingere le incredibili realtà della nostra esistenza. Uno scienziato che crea un mostro nel suo laboratorio; un bibliotecario nella bilbioteca di Babele; un mago incapace di fare un incantesimo; un’astronave in difficoltà sulla via per Alfa Centauri; tutte queste possono essere metafore fedeli e profonde della condizione umana. Il narratore fantastico, sia che utilizzi gli archetipi antichi del mito e della leggenda, o quelli più recenti della scienza e della tecnologia, può parflare non meno seriamente di un sociologo, e in modo di gran lunga più diretto, della vita umana come è vissuta, come potrebbe essere vissuta, come dovrebbe essere vissuta. Perché, dopo tutto, come hanno detto grandi scienziati e come sanno tutti i bambini, è soprattutto attraverso l’immaginazione che conquistiamo la percezione, e la pietà, e la speranza.
Devo dire che è stato molto bello, se non entusiasmante, poter concludere la rassegna culturale “Viaggio verso Altrove” con questa parola: speranza.
Grazie ancora a Cristina Marrone, Monica Malberti e Fabio Resnati per l’accoglienza, e al Liceo Paolo Frisi per aver promosso questa bella rassegna culturale che ha dato spazio anche al fantastico e alla fantascienza.