Segnalo un pezzo di Ted Chiang sul New Yorker, di pochi giorni fa, relativo alla cosiddetta “intelligenza artificiale” generativa – ChatGPT, Gemini, Dall-E, Midjourney e compagnia computante.
Un articolo acuto e raffinato, esposto con stile semplice e chiaro, che tiene insieme considerazioni sull’arte, la scrittura, l’intenzione comunicativa, la linguistica; e sembra implicitamente paragonare gli “strumenti” di cui sopra a una trappola evolutiva, servendosi di una affascinante similitudine naturalistica.
«Il linguaggio è, per definizione, un sistema di comunicazione: necessita dell’intenzione di comunicare. Il completamento automatico del tuo telefono può fornire buoni o cattivi suggerimenti, ma in nessun caso cerca di dire qualcosa a te o alla persona a cui stai scrivendo.»
L’articolo si apre con la citazione di un racconto di Roald Dahl del ’63, “The Great Automatic Grammatizator” (in italiano è “Lo scrittore automatico” nell’edizione Longanesi di “Tutti i racconti” del 2009).
Aggiungo che è del ’65 la macchina narratrice inarrestabile di “Cyberiade” di Stanislaw Lem, e del ’66 “Il Versificatore” di Primo Levi, contenuto in “Storie naturali”.
Ci vedevano lungo. Oggi tocca citare loro e tornare alla ricerca di un filo logico-politico praticamente sommerso da una specie di trance soporifera che colpisce gli artisti più degli altri, indotta da questa pubbli-compulsione intossicante, tra recensioni di tutto, abboffate di inutili serie TV, autoscatti ansiogeni, flame irritantissimi e l’angosciante spettro del personal branding su qualsiasi cosa.
Per tornare a uno scampolo di lucidità, è utile abbeverarsi alla fonte di chi è capace non solo e non tanto di scrivere bene, ma soprattutto di ragionare.
Buona lettura.