Questo post racconta un nuovo corso: la mia attività di blogger cambierà, è già cambiata, non per temi o tono, ma nelle modalità con le quali la comunico.
Non voglio parlare solo di me: in questo post espongo alcune considerazioni che hanno ispirato il mio cambiamento, affinché possano suscitare riflessioni e idee adattabili a ogni singolo percorso personale.
Oggi siamo più o meno tutt* sui social.
Ce ne sono molti, a seconda di ciò che vogliamo comunicare e come: nel mio campo, la parte del leone la fa sicuramente Facebook.
Facebook è il nuovo blogging?
Facebook è a oggi il social network delle parole: quello che ha soppiantato i blog, nelle intenzioni e nella pratica di molt*.
Ma è diverso da un blog, e per molti versi decisamente inferiore.
Come avrai capito dal titolo del post, la mia opinione in merito è molto netta: se ti piace scrivere e scrivi lunghi post su Facebook, smetti subito di farlo e trasferisci la tua attività di scrittura su un blog.
O se non altro, salva quello scrivi su Facebook anche su un blog, in modo da dare ai tuoi post una una vera casa.
Sì, perché Facebook non è una vera casa, tutt’al più una piazza dove relazionarsi e scambiarsi idee. Una piazza con enormi potenzialità e anche diverse criticità, ben più problematica del vecchio scambio di commenti in blog o forum tematici.
Ecco perché.
Nel social non sei a casa
Una piattaforma social, sia Facebook, Instagram o altre, non ti appartiene in nulla ed è soggetta a due forze: le regole, che non sono sempre quelle che ci augureremmo; e le decisioni, che non sono prese da noi.
Parliamo di regole.
Abbiamo tutti sotto gli occhi cosa succede in casi cosiddetti di shitposting, quando masse di commentatori insultano e minacciano un solo profilo: è una cosa contro la legge, come l’incitamento alla violenza, all’odio, allo shaming…. ma Facebook fa qualcosa molto raramente, perché la sua legge la fa l’algoritmo, non la società civile.
Se una massa di brav* cittadin* segnala un incitamento alla violenza, Facebook prende provvedimenti. Se lo faccio io da sola, l’incitamento alla violenza resta lì: è sempre illegale, ma la mia segnalazione non ha numeri, quindi non conta.
Se una massa di cretin* segnala una pagina con contenuti che non le vanno a genio (capita spesso con le pagine che difendono le donne: e indovina di che genere sono i cretini?), Facebook agisce “di conseguenza”: chiude la pagina.
Poi puoi farla riaprire, certo, ma è un percorso in salita fatto di link tortuosi, di ansia, e del tuo lavoro che potrebbe non riapparire mai più. Facebook non ha un vero servizio di assistenza, lo sa bene chiunque abbia subito un furto del proprio profilo e si trova a interagire con farraginose chat automatiche che girano su sé stesse, e con tempi tecnici da età del carbone.
Ora parliamo di decisioni.
Il social è di proprietà dell’azienda che lo ha creato e che ne detiene il codice sorgente. Risponde a un consiglio di amministrazione, non a chi anima la piattaforma e la riempie di contenuti, immagini, preferenze, scambi. Questo tiene in vita la piattaforma, ma di fatto è incidentale.
Se il consiglio di azionisti o il CEO decide farlo, possono tranquillamente chiudere la tua pagina, senza doverti né spiegarti niente. E tutti tuoi lunghi e articolati post spariranno nel nulla.
Casa tua significa anche targhetta col nome: il dominio è tuo, e naturalmente ti consiglio di acquistarlo e tenertelo stretto. Sono solo pochi euro di spesa annuali, ma avere un tuo indirizzo web personale è importante, specialmente se ambisci a fare della scrittura una professione o una occupazione seria.
(Avere un tuo dominio, tra l’altro, ti dà una mail con il tuo dominio.
Quanto sono teneri e brutti quegli indirizzi in gmail per agenzie e attività che si dicono professionali?)
Nel social non organizzi i contenuti
Entriamo nel vivo della questione: i post, gli articoli, le parole, le relazioni.
I social non sono stati creati per aiutarti a diventare famos*, né per conoscere gente, né per non farti sentire sol*, né per permetterti di esprimerti.
I social sono stati creati per tenerti lì dentro quanto più tempo possibile.
Questo comporta una serie di conseguenze, una delle quali è che i social non ti consentono di organizzare i contenuti da proporre.
Non ci sono categorie, né tag, né possibilità di strutturare rubriche, o di mostrare blocchi o banner specifici, ora spariranno anche le sopravvalutate note… prevale il flusso ininterrotto dei post, graficamente indistinguibile e aiutato dagli hashtag, o da una gestione molto molto smart degli album o degli archivi (che tanto nessuno guarderà mai: i social non sono fatti per andare indietro nel tempo, ma per occuparlo in continuazione.)
Il blog è un contenitore che puoi adattare molto meglio, dandogli una veste più adatta ai tuoi contenuti. E dato che “il mezzo è il messaggio” è anche vero che la veste influenza i tuoi contenuti.
Nei social scrivi mezzi messaggi
Detto in altre parole: sui social è più facile scrivere minchiate.
Anche la lettura cambia: sui social l’occhio e il dito tendono a fare scrolling, chi legge su un blog invece si sofferma di più.
Un po’ come la differenza tra il quotidiano gratuito che trovavi in metropolitana e la rivista mensile di approfondimento. Li leggi con la stessa attenzione? Pubblicare le tue lunghe dissertazioni su un quotidiano gratuito da stazione è davvero la cosa migliore che puoi fare?
Nei social litighi
Ci sono i flame, gli smile passivoaggressivi, le polemichette, gli screenshot mandati in privato… l’impero del malanimo. A questo riguardo c’è un’ampia letteratura, oltre a una consapevolezza in crescita.
(Siamo abbastanza saturi delle risse: Facebook per questo sta perdendo presa sulle giovani generazioni e si popola sempre più di anziani boomer che non sanno usare Le Maiuscole e pensano di avere in mano Qualcosa a metà tra la Posta del Cuore “buona serata cosa stai facendo” e uno Sfogatoio pronto all’uso. Kaffè? Benvenuta tra i Miei Amici!)
Nei social non ricordi
Torniamo ai contenuti: in particolare quegli scambi teoretici nei quali molt* di noi hanno bruciato ore della propria vita; spesso proseguendo a oltranza discussioni che partono con commenti chilometrici scritti alla scrivania, sfociano in scambi di link da fonti contrastanti mentre siamo già sull’autobus verso casa, e deragliano in gnegne digitati in bagno di nascosto, mentre la famiglia ignara ci aspetta per cena.
Lasciamo stare le degenerazioni, e pensiamo alla prima fase: dove vanno a finire quei commenti articolati e dettagliati, che sembrano prefazioni di tesine, uno o due giorni dopo che li abbiamo scritti?
Hai mai provato a ritovarli?
Dove finiscono i nostri contenuti, dopo che li abbiamo pubblicati?
Tutti i nostri lunghi post con mezzo mese di vita, le fruttuose discussioni con chi è d’accordo con noi e ci chiede di puntualizzare, gli scontri dialettici che portano pur sempre a qualcosa, le filippiche infuocate nelle quali dispieghiamo il meglio della nostra ars retorica?
E i post delle altre persone? Quella lista di consigli di lettura? Quella lunga digressione ispiratrice?
La risposta è boh.
Come già detto, a Facebook non interessa che tu possa gestire bene i contenuti, ritrovare le cose e organizzare la memoria storica di post e scritture. Devi stare lì e basta, e mettere like, e fare scrolling all’infinito: il resto è incidentale.
Nei social disperdi le energie
Mi sono accorta che molti dei miei commenti lasciati su Facebook andavano benissimo, con soo un po’ di cura e a capo in più, per diventare post sul blog. Quelli spariscono, questo resta, e di solito lo scrivo molto meglio, perché (il mezzo è il messaggio, e dunque) scrivere sul blog mi condiziona a essere più rigorosa e argomentata.
E di nuovo, questo aspetto si riflette anche sulla nostra organizzazione mentale e sul modo in cui strutturiamo i nostri contenuti nel tempo.
Avere un piano editoriale è molto più semplice con un blog, quasi impossibile su Facebook.
Perché anche se ce l’hai e lo rispetti, corri sempre il rischio di derapare all’improvviso: a parte che ci sono le varie notizie dell’ultim’ora, divagazioni, ricondivisioni… anche l’emotività pesa. Mai passata una brutta giornata? Mai subito un piccolo odioso torto dal tuo prossimo? Mai sbrodolato tutto ciò in un bel post grondante disappunto, nel quale imprechi o asfalti o sfotti il tuo ignaro nemico del giorno?
Il piano editoriale, mi spiace dirtelo, naufraga così: sotto scroscianti like di chi non ti conosce e non si soffermerebbe sul tuo post se non ci fosse quel gustoso, distruttivo e inutile veleno.
Nei social ti radicalizzi
Questo lo teorizzavano già venti o trent’anni fa, ai tempi delle teorie su “l’era dell’accesso”: chi guadagna sui contenuti che cerchi tenderà a presentarti sempre cose di tuo gusto, sempre un po’ più di tuo gusto, escludendo del tutto ciò che non cerchi o che eviti.
Lo fanno gli store che memorizzano le tue ricerche e scelte di acquisto. E lo fa Facebook, che ti consiglia pagine e notizie simili a quelle che già conosci, spingendoti sempre di più in una bolla autoreferenziale e monocorde che ti disabitua alla vera dialettica, fatta di contraddizioni, accomodamenti e compromessi relazionali.
Nei social sei tagliat* fuori
Sì, esatto: Facebook ti taglia fuori dalla rete. Perché per leggere i post su Facebook devi essere iscritt* a Facebook, non puoi arrivarci liberamente con un browser e un protocollo aperto.
E anche perché Facebook è in aperta competizione con Google, e i due giganti si fanno la guerra boicottandosi a vicenda.
Facebook “punisce” i post con link a video YouTube, ad esempio (in realtà punisce qualsiasi post con link che ti facciano uscire da Facebook, ma quelli di Google di più). E Google non ti riporta nulla da Facebook nei risultati delle ricerche.
Quindi se vuoi che ti leggano e ti trovino non puoi stare solo su Facebook, perché a oggi la ricerca la facciamo ancora tutt* su Google, e lì escono i siti, i portali, i blog e gli articoli sui blog, non i post e i commenti su Facebook.
Quindi?
Questi sono solo alcuni dei motivi possibili, quelli che ho trovato io, per prendere distanza dai social, e dedicare ai contenuti un po’ di cura in più e la piattaforma giusta.
Facebook è un ottimo strumento di diffusione, da questo punto di vista è ancora imprescidibile, specialmente in Italia, quindi non consiglierei mai di abbandonarlo, ma di ridimensionarlo sì.
Ridimensionare la presenza e l’uso di Facebook è quello che ho deciso di fare io, da ora in avanti.
Non aggiornerò più la mia pagina “Giulia Abbate – @scrivifelice”, e pubblicherò i link ai post direttamente e solo sul mio profilo Giulia Abbate @giulia.abbate.studio.83/ .
E non lascerò i contenuti solo su Facebook, ma li posterò sempre anche qui, dove resta un po’ più di memoria, e dove potrai trovarli anche a distanza di tempo, con una semplice ricerca dalla barra a sinistra, o anche direttamente da Google.
Ti invito dunque a seguirmi da ora in avanti sul mio profilo personale Giulia Abbate @giulia.abbate.studio.83/ oppure tramite il feed del blog.
Puoi chiedermi l’amicizia: se non abbiamo tanti amici in comune, mandami anche un messaggio in cui ti presenti.
Altrimenti puoi seguirmi, è la stessa cosa: i miei post sono tutti pubblici, quindi li vedrai lo stesso e potrai commentare.
Un po’ mi dispiace dover chiudere una pagina che mi ha dato soddisfazioni e ispirazione: ma questo cambiamento mi consentirà di avere più tempo ed energie per scrittura, lavoro, lettura e varie altre attività (come passeggiare, ad esempio ^^).
Continuerò naturalmente a postare articoli sul blog, quindi ci rileggiamo presto. Possibilmente fuori dall’acquario!
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