Oggi Quaderni d’altri tempi pubblica una recensione di “Assalto al sole”: “Visioni italiane dei futuro alla luce del solarpunk” a firma di Valerio Pellegrini, che ha scritto diversi altri pezzi di critica sul solarpunk.
“Assalto al sole”, lo ricordo, è la prima antologia di solarpunk italiano.
Ho scritto in diversi post che cos’è il solarpunk, che amo definire “l’utopia che vuole esistere”.
Inoltre, da poche settimane sono nel team di Solarpunk Italia, un sito tutto italiano per raccogliere e diffondere il solarpunk nel dibattito sul futuro e sul presente.
Ho trovato entusiasmante la recensione di Pellegrini, perché propone considerazioni che trascendono il singolo titolo e possono farci riflettere sulla narrazione del futuro.
Il fatto che questa raccolta metta insieme solo scrittori italiani la rende speciale. Il manifesto solarpunk pubblicato sul sito Solarpunk Italia di recente apertura annuncia attivismo, partecipazione pubblica, senso comunitario. Proprio in Italia, una nazione tanto storicamente ricca sul piano delle risorse produttive e creative, quanto sfortunata sul piano del rapporto tra collettività e rappresentanza politica.
Valerio Pellegrini, Visioni italiane del futuro alla luce del solarpunk
Ho cercato di farlo anche nel mio racconto incluso nella raccolta, “Il libro di Flora”.
Lì, ho chiamato in causa proprio il racconto: il “dirsi storie” come necessità biologica, che incide sulla fisiologia, prima della storia.
Il racconto umano non è il solo possibile, tanto per cominciare. Ma nell’ambito dell’umano, esso plasma il presente e incide sul futuro.
La storia di Flora è quella di un “viaggio dell’eroina”, dove cito le funzioni narrative di Propp per anticipare ciò che succede in ogni capitolo, ma anche per mettere in discussione le funzioni stesse: perché appunto parliamo di un’eroina, di una donna, una “Eva” diversa dall’eroe canonico; l’archetipo femminile si rinnova e rinnova il viaggio e le sue funzion, e dà all’umanità una nuova epica sulla quale costruire le proprie imprese e soprattutto i propri obiettivi.
La protagonista della storia cambia, e cambia di conseguenza il “mondo che vorremmo”: una cosa alimenta l’altra, e si scontra con il canone della tradizione e delle “storie” già presenti.
Nel racconto, di conseguenza, c’è anche un discorso sull’attivismo e sulla violenza. Tant’è che in una recensione su B-Sides Magazine Sergio Beccaria scrive:
Certo, la cura suggerita non è sempre indolore. Quella avanzata da Giulia Abbate, per esempio, è davvero drastica, al limite del terrorismo, una sorta di guerra partigiana necessaria al cambiamento.
“Assalto al sole” su Fantaitalia, B-Sides Magazine
“Il Libro di Flora” contiene violenza, è vero. D’un tratto, all’improvviso. Sentivo di non poter scrivere qualcosa di diverso, e per la prima volta scrivere la violenza ha prodotto in me una domanda, più che una condanna.
Sono anni che studio la nonviolenza: ho iniziato la mia militanza “strutturata” da adolescente nelle fila del Partito Radicale, cresciuta con due genitori che lo erano stati a loro volta: militanti radicali adolescenti.
Il mio humus quindi è quello, sia radicale in senso lato, che nonviolento, attento alle opzioni, alla ricerca di vie inconsuete, impensate, creative, efficaci, potentissime.
C’era qualcosa di più grande, che andava oltre tutti noi. Quel qualcosa era evocato tanto dall’uroburo fiorito, che dal mandato di cattura su chi se l’era inventato. Non sembrava esserci una terza via tra queste due istanze in conflitto, eppure io sapevo come stavano le cose. Nelle storie umane c’è sempre una terza via. Nelle storie delle piante, ce ne sono almeno altre trecentomila.
da “Il libro di Flora”, in “Assalto al sole”
Sono anni dunque che mi interrogo, tanto nella scrittura che nel mio personale e costante impegno sociale, su che fare e come, che poi è la stessa cosa.
C’è qualcosa che sta prima dello studio, che probabilmente è alla radice di ciò che sono, e del mio attivismo eterno e quasi autolesionista.
In me, il proverbiale dilemma posto da Ursula K. Le Guin – quello tra restare nell’utopia di Omelas e accettare che sia basata su un’ingiustizia, oppure abbandonarla in disaccordo con quell’ingiustizia – si declina anche in una terza via.
Quella di restare a Omelas, oppure di ritornarci.
Ma solo per metterla a ferro e fuoco.
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