Fiaba di Natale: “La venuta al mondo” @Diario di Errebì

Quest’anno ho pensato di celebrare le feste anche attraverso relazioni virtuali forse non così “astratte” come si può immaginare. Una volta esistevano le amiche di penna, non vedo perché non possano esistere le amiche di tastiera.
Quindi le mie preghiere saranno le emozioni suscitate in me dalle loro parole. Trovo più umanità e ispirazione in un pensiero dedicato che in una litania.

Romina Braggion, “Natale 2021, suggestioni di donne” su Diario di Erre

Ho aderito volentieri alla “chiamata” di Romina Braggion per un percorso collettivo di pensieri femminili da qui all’Epifania. Il mio pensiero mi è venuto un po’ lungo ma eccolo di seguito, repostato poi anche su Solarpunk Italia.
Lo dedico a Nawal Soufi e a Lorena Fornasir & Gian Andrea Franchi ( Linea d’Ombra ODV ).


Fiaba di Natale: “La venuta al mondo”

Che giorno è oggi? È già giorno? Mia sorella mi butta giù dal letto, sveglia, mi dice, muoviti, non puoi capire che è successo, muoviti, c’è bisogno! Mi vesto come posso, salto nel pile e mi intabarro per fronteggiare il freddo gelido della notte sull’orlo dell’alba: è un’ora fredda, per le strade c’è il deserto, le finestre sono sbarrate, le botteghe ostentano vetrine traboccanti merci luminose con sopra bene in vista i cartelli dei prezzi e i divieti di ingresso ai non conformi.

Noi camminiamo come senza vista nella luce impietosa dei fari a LED, e a un tratto: eccola!, fa mia sorella, ed eccola, in effetti, ecco che arriva mia cugina, materializzandosi per strada nella sua macchinina scassata che più che a cavalli va a somari, o forse a renne artiche, dato il clima… Dai, dai, non potete capire, bisogna trovarli, o sarà un disastro!, dice, ma dove, dove, fa mia sorella, e io che ancora non so niente mi pigio dietro tra i sacchi di roba e mentre mia cugina riparte ne valuto il volume, la pesantezza, dovremo portarli a braccia nel bosco? E siamo solo in tre, gli altri dopo tanti giorni di attivismo dormono affranti, ma intanto che rimugino non chiedo nulla, non mi serve perché già so, la storia è sempre più o meno la stessa: chiunque ci sia nel bosco, qualsiasi cosa sia successa, ora rischia già di morire di freddo, quindi perché sprecare fiato?

Questa no, dice mia cugina una volta scese, mi leva il bustone dalle mani, tieni questa invece, ed è un pacco di coperte termiche tutte d’oro, mentre mia sorella afferra su sua indicazione uno zaino con dentro qualcosa che fa un suono come d’acqua.

E ci incamminiamo nel bosco buio.

È ancora notte, che ora gelida davvero, sembra fatta di lame, appena appena prima che albeggi, tutto è sospeso nella bruma, il sole potrebbe sorgere e noi trovarci altrove, all’inferno o in un mondo rivelato. Procediamo in silenzio, ansimiamo e calpestiamo foglie gonfie di brina che scrocchia, siamo come in un deserto, e a un tratto qualcosa si rivela, anzi, qualcuna: è nonnina, la chiamiamo tutti così, è infilata in chili di lana multicolore e in stivaloni da montagna e arranca, e mia cugina che quasi rantola dalla corsa la raggiunge e le fa dove sono, dove?, e lei inaspettatamente ride – ride? Possibile? – e ci indica il cielo: e lassù un corpo celeste tutto rosso ci indica la strada, è un fuoco di segnalazione, è vicino, ci siamo, ci siamo! Eccoli lì!

Un uomo ridotto in stracci, devastato, la faccia invecchiata dal dolore e dalla strada… ride! Salta e agita in aria il cilindro ancora fumante del fuoco di segnalazione, e ride! Noi ormai corriamo, la nonnina e la notte ce le siamo lasciate alle spalle, mia sorella getta in avanti lo zaino e si butta in ginocchio e la ragazza, la ragazza a terra nel sangue e nelle foglie scure piange e ride anche lei. E io vedo tutto e getto anche io giù il mio bustone, e ne estraggo il mio trionfante carico d’oro termico, e ci avvolgo la creaturina che gorgoglia al mondo, e mia sorella dallo zaino tira fuori il thermos e versa un bicchiere fumante alla mamma che soffia e piange e ride e beve, e mia cugina sorregge il giovane vecchio neopadre crollato sulle ginocchia accanto a noi.

E io a un certo punto della mia stupefazione sento come di essere circondata, questo travagliato bosco di fuggiaschi e di confine ora non è più un deserto, sento gli animali che frusciano, che saltano, poi scappano via e subito dopo arrivano i cani che abbaiano e ringhiano: noi tre ci alziamo come una sola donna e facciamo scudo, e dobbiamo avere l’aria di streghe o maghe perché i poliziotti s’inchiodano sui loro passi e abbassano i manganelli, richiamano i cani, e poi si fanno avanti più timidamente, protendono gli sguardi stupiti, forse un po’ vergognosi, verso la scena sacrale che c’è lì e che è sempre uguale, e sempre lo sarà, per terra, per tutti, amen! E a un certo punto ecco che si materializza nonnina, ci ha trovate e ci ha raggiunte, e con rapida destrezza sistema la mamma su una coperta bene aperta a terra, svolge la creaturina e gliela mette addosso e quella si attacca subito al seno, e ora tutte ridiamo, mentre nonnina dopo averle coperte ben bene tira fuori un bel papiro e lo passa al primo sbirro, con l’aria furba di una che molli una caramella a un bambino.

È una domanda di riconoscimento dello status di rifugiati, ed è bella pronta e compilata, e da adesso in poi i poliziotti non possono che accompagnare la famiglia in un hotspot e mettersi i manganelli dove nonnina ci tiene a dire. E di nuovo ridiamo tutte, e anche i poliziotti coi loro cani pastore sembrano presi bene e qualcuno pure sorride sotto i baffi a vedere il sergente messo a posto da una befana, e allungano pacchetti di fazzoletti e snack proteici a mia cugina e sigarette al papà giovane vecchio. E intanto il sole sorge, la bruma si disperde e siamo nel solito vecchio mondo di merda di ieri, ma con dentro qualcosa di nuovo, no, qualcuno! Un bambino! Ma no, mi fa mia sorella, sveglia, è femmina, è una bambina!

E la mamma in una flebile e tenace neolingua che capiamo al volo ci ringrazia con la piccina ancora al seno, e di fronte al nostro assistere le dà un nome, letteralmente la battezza, e così sotto lo sguardo dei cani pastori e di nonnina sorniona noi tre ci inginocchiamo e a nostra volta e a voce sola salutiamo la venuta al mondo: «Salve, Regina!»


Puoi leggere gli altri pensieri e scritti che Romina raccoglie fino all’Epifania, qui: Romina Braggion, “Natale 2021, suggestioni di donne” su Diario di Errebì oppure sulla pagina facebook Diario di Errebì.

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