Virginia Woolf: perché tacere?

In tutti gli articoli letti oggi, per l’anniversario della nascita di Virginia Woolf (ma potrei dire in tutti gli articoli letti in generale nel tempo), manca sempre una cosa che mi è capitato di trovare per caso in un paper accademico di psicologia: Woolf non “soffriva di depressione”, o almeno non è così semplice.

Virgina Woolf subì una brutale violenza sessuale quando era bimba, a opera di suo fratello più grande, un ragazzo sadico e disturbato che la tormentò a lungo.
Questo in un contesto di grave deprivazione familiare, dove la madre era assente se non ostile, il padre nemmeno mi ricordo dove fosse e Virginia fu pure separata dall’amata sorella.

Dopo un’esperienza del genere, che la donna riportò nei suoi diari anche perché non aveva nessuno con cui parlarne e che le credesse, si può davvero parlare di “depressione”?
Così, senza altre specificazioni?

Come si fa a non menzionare una violenza del genere in un pezzo biografico, parlando solo e banalmente di problemi psichiatrici? Una bambina violata e non creduta ha problemi psichiatrici: ma no?

O forse si può dire in un altro modo, dando conto della forza di una sopravvissuta e della strada complicatissima che una persona ha di fronte quando ha una famiglia abusante alle spalle?

illustrazione di Marcelo Parra

Trovo davvero inspiegabile il silenzio generale su questo aspetto della vita di Woolf. Ammetto di non aver mai letto una biografia intera a lei dedicata, ovvero un testo monografico singolo su di lei. Ma non ho mai mancato una sua biografia inclusa nei diversi suoi scritti, e nel tempo ho letto numerosi approfondimenti su vari aspetti della sua prosa, dal femminismo al rapporto con le donne della sua vita, dal flusso di coscienza alla sua avversione per Joyce, e altro.

Eppure mai mi ero imbattuta in questa vicenda biografica, quella di una famiglia gravemente disfunzionale. Com’è possibile? L’ho dovuta trovare in un trattato che parlava di altro, e per qualche tempo ho provato una profonda incredulità, mi sono sentita matta io, come se ci fosse il rischio di essermi sognata tutto.

Aggiungo che la questione non riguarda strettamente il suicidio della scrittrice. Parlo proprio del modo in cui consideriamo una “malattia mentale”: ammalarsi in un ambiente profondamente malato significa in fondo conservare quel minimo di sanità mentale / criterio / contatto con la realtà che ci permette di provare malessere riconoscendo l’ingiustizia della situazione.

La malattia certamente esiste, al di là dell’ambiente, non intendo negarla. Ma esistono anche dei casi in cui la persona sviluppa una certa psicosi o “problema” in modo adattativo, per reagire/permanere in una situazione distorta; e quando la situazione passa, la persona grazie a quell’adattamento si è salvata, ma continua ad attuarlo perchè poi cambiare dei pattern è difficile. Ridurre questo a “malattia mentale” è decisamente riduttivo.

Non riesco purtroppo a trovare il paper che lessi stupefatta, ma una ricerca mi consente di segnalare il saggio di Nadia Fusini: “Possiedo la mia anima. Il segreto di Virginia Woolf”. Ne ho letta qualche pagina centrale, mi pare un po’ enfatico ma efficace, e riporta i fatti.

Ad esempio, il fatto che non fu un solo fratello ad abusare di Virginia, che la madre mancò presto e che il padre vedovo inconsolabile impose alla casa una cappa di lutto e silenzio insostenibili: le mie citazioni poco sopra sono quindi imprecise, ma voglio lasciarle così, come traccia di una epifania.

Aggiungerei un altro consiglio di lettura, non so perché, ma anche sì. Alice Miller è una psicoterapeuta specializzata nell’infanzia. I suoi saggi dedicati a bambine e bambini abusati, non solo sessualmente, andrebbero letti da quante più persone possibili, andrebbero studiati da chiunque voglia scrivere un romanzo che contenga un cattivo/un dittatore/un killer/etc., andrebbero discussi nelle scuole (se le scuole non fossero sempre più dei carceri indottrinanti, dopo due anni di politiche pandemiche penalizzanti, svilenti del ragionare, ora anche discriminanti).

I sentimenti non possono essere né prodotti né sradicati. Possiamo solo reprimerli, illuderci e ingannare i nostri corpi. Ma il corpo si attiene ai fatti.

Alice Miller

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