“Riparare il trauma, o almeno provarci”: note su un intervento di Loredana Lipperini su “green pass” e “intellettuali”

Trovo apprezzabile l’intervento di oggi di Loredana Lipperini: perché rimette in campo un elefante nella stanza che più passa il tempo e più diventa grosso.

Parlo dell’acquiescenza e della compiacenza della maggior parte degli intellettuali verso i plateali “abusi pandemici” di un sistema politico che ha fatto strame della legalità e del diritto basandosi sulla menzogna, e che, quindi, proprio da chi aveva gli strumenti per reagire e difendere la società ha avuto l’assist più grave e importante (insieme a quello della classe medica).

Attraverso la propria opportuna autodifesa, Lipperini rimette in discussione il silenzio fragoroso di chi ha fatto finta di nulla e continua a farlo, o anche di chi si mise comodamente nelle fila dei sicofanti: di queste due categorie fanno parte molti di coloro che oggi si riempiono la bocca di elogi del dissenso.

Forse, aver condiviso un articolo non è abbastanza, però l’articolo è forte, è uno dei più forti scritti già ai tempi, e dunque la condivisione è stata una presa di posizione anch’essa forte.

Forse, ed è un problema che mi pongo spesso, non è così utile o costruttivo andare a fare la radiografia passata di chi ha detto cosa… però lasciatemi dire che, per molti di coloro che hanno vissuto questi quattro anni in un certo modo, non è così semplice soprassedere.

A fronte di mille come Scurati, autore di sviolinate imbarazzanti al potere e di inviti ai controlli sanitari a tappeto; e a fronte di centomila come Lagioia, che dichiarava festante “siamo di nuovo tutti qui insieme!” quando per entrare al Salone ci voleva il “super green pass”, ci sono anche state persone che, con molto meno peso e con tutto da perdere, hanno fatto scelte ben diverse.

Tra queste ultime ci sono anche io, non ne ho mai fatto mistero e non ho problemi a ripeterlo, prendendomene come sempre gli onori o gli oneri, a seconda di chi mi leggerà.

Per scelta abbiamo rifiutato l’allegra assimilazione dell’infame “green pass”, e siamo rimaste / siamo state lasciate FUORI: fuori dai consessi socievoli (mi fa specie chiamarli sociali), fuori dalle librerie delle donne e dei diritti arcobaleno e delle amichevoli anarchie di quartiere, fuori dai concerti pro Resistenza e dalle conferenze per l’ambiente, fuori dalle presentazioni letterarie e dalle fiere del libro e dai teatri e dai circoli di volontariato e persino dalle scuole e dalle biblioteche. Ricevendo, dagli attuali paladini del dissenso, minore considerazione di quella tributata ai cani, quando andava bene, e altrimenti dileggio e odio.

Per questo abbiamo patito conseguenze professionali (e umane) che ancora patiamo: per aver DISSENTITO, appunto, con le nostre voci e i nostri corpi, per aver obbedito a qualcosa di più alto e profondo e vero di qualsiasi decreto governativo, ovvero la coscienza di ciò che è giusto.

(Update: e qui parlo della mia esperienza, di persona che anche per scelta non fa un lavoro subordinato, dunque abbastanza libera da certe imposizioni. Ma c’è chi è stato lasciato a casa senza stipendio, e c’è puire chi, per mangiare e poter campare i figli, è stato obbligato a sottoporsi a un trattamento sanitario che non voleva. “Antifa”? Ma per favore.)

Dunque, fatemelo ripetere, per chi ha passato tutto questo, pagandolo a schiena dritta, non è semplice soprassedere. E soprattutto, ora più di allora, non è possibile berci cazzate, e considerare con benevolenza quelli che hanno taciuto codardamente quando potevano fiatare, quelli che ora evocano gajarde salite in montagna ma allora si sono chinati davanti al primo tornello, quelli che hanno anteposto a tutto il resto la giostra del potere, dei poteri e degli inviti che contano, e ora vorrebbero pure darci lezioni di non si sa che cosa.

La verità è figlia del tempo, mi diceva mia nonna. Anche il perdono, noi per prime dobbiamo augurarcelo e lavorarci su, ma bisogna anche sapere che quello viene comunque dopo la verità.

Qui un post in cui prendevo un po’ in giro il monologo di Scurati: quello vero, quello che in pochi hanno ricordato, quello in cui è stato sincero: “Draghi, resta!” grida lo Scrittore, in Covidistan

Qui un post sul Salone del libro di Torino sotto la direzione di Lagioia, tra giubilo e discriminazione: “Torna la normalità al Salone del libro? Allora non vengo”.

Qui la mia raccolta di citazioni distopiche d’occasione: “Leggere distopia in Covidistan”, compilata nei mesi roventi di “green pass” e altri traumi ancora non elaborati.

Qui il mio articolo all’entrata in vigore del “green pass”: “Leggere distopia in Covidistan”