Un articolo su Octavia Butler finalista al Premio Italia 2018 – #premioitalia

Il Premio Italia è al momento uno dei maggiori riconoscimenti della fantascienza italiana.

Questa “fantascienza italiana” è un mondo piccolo ma vitale, e in questi ultimi anni sta facendo sforzi immani per levarsi di dosso polvere e mala fama e raggiungere il grande pubblico con tante, tante belle cose da dare!

Sono molto contenta di essere parte di un movimento di persone che lavorano insieme e intorno a me.


Vedo in questa finale tanti amici, amiche, autori e autrici che stimo: e spessissimo l’amicizia consegue dalla stima, non il contrario! Ricordi il mio discorso relativo al “Circolo virtuoso della pubblicazione”?

Qui trovi la lista dei finalisti e delle finaliste di quest’anno. A prescindere da chi vincerà, la lista è un buon modo per farsi un’idea dello stato attuale delle cose, e può servirti come primo passo se non conosci la fantascienza italiana e vuoi leggere qualcosa di bello in questo genere.
Ad esempio, il romanzo “Ucronia” della mia collega e amica Elena Di Fazio è un romanzo che consiglio in particolare, e i romanzi finalisti per il Miglior Romanzo di Fantascienza Italiana meritano davvero.

Al Premio Italia sono ovviamente valutate non solo le opere di fiction, i romanzi, i racconti e le raccolte, ma anche i contributi critici, i saggi, gli articoli e i post letterari.

Proprio uno di questi, scritto da me, è ora in finale nella categoria “Miglior articolo pubblicato su rivista o blog amatoriali”.

Si intitola: “Octavia Butler: l’allegoria dell’empatia, una visione necessaria” ed è uscito per la rubrica “La fantascienza delle donne” che curo con Elena Di Fazio per Andromeda – Rivista di Fantascienza curata da Alessandro Iascy.

Octavia Butler è una delle mie autrici preferite ed è anche una persona che ha lasciato tanto agli altri.

Una scrittrice dislessica, cresciuta nella difficile suburra come “diversa”, afroamericana, altissima, orfana, solitaria amante della lettura… ed è diventata un punto di riferimento della sua comunità, una mentoressa di altre scrittrici, un’attivista per l’istruzione e per i diritti delle comunità afroamericane.

Butler è morta a soli 52 anni. Ha lasciato un archivio di scritti, articoli e testi che ora è di dominio pubblico grazie alla donazione della sua famiglia. Ha cambiato la fantascienza e ha dato inizio al movimento dell’Afrofuturismo, che in questi ultimi anni sta tornando alla ribalta con autrici e autori molto brav* come NNedi Okorafor e altr*.

Nelle sue opere, alla fantasia e alla fantascienza mescola la rivendicazione, attraverso la fotografia dei rapporti di forza che schiacciano ingiustamente le donne, le persone di colore, i diversi, e che fanno soffrire tutti.
Le sue storie sono rocambolesche, appassionanti, piene di viaggi, di rapimenti e di lotte terribili. Ogni volta che apro uno dei suoi libri e ne leggo una riga poi non riesco più a staccarmene, non importa quante volte già lo abbia letto!

Nel mio articolo a lei dedicato, mi sono concentrata su un aspetto apparentemente secondario del suo romanzo “La parabola del seminatore”, uno dei più famosi, che fa coppia con il suo seguito “La parabola dei talenti”.

Ho parlato della cosiddetta “malattia dell’empatia”. Questa caratteristica della sua protagonista è un elemento che sembra minore, che però è anche la porta, il segno per capire molta della poetica e della politica butleriana.
Il concetto di base che ci ho trovato e che mi ha molto colpita è, in sostanza, che non sempre chi appare malato è il vero malato. E che alle volte, “ammalarci” è l’unico modo che abbiamo per salvarci.

Viviamo insieme. E siamo comunque legat* gli uni alle altre, vicini e interdipendenti. Violare questo legame, tradirlo, arrestarsi all’homini lupus, non vedere più gli altri in noi, è un grave vulnus: che quando è comune, porta paradossalmente l’empatia a diventare una malattia, un problema per chi la vive.

Non sto a dilungarmi: puoi leggere, se vuoi, l’articolo intero su Andromeda, a questo link:
“Octavia Butler: l’allegoria dell’empatia, una visione necessaria”

Sono davvero grata e felice che questo post sia stato segnalato tra tanti altri, di colleghe e colleghi ugualmente validi, e che sia arrivato in finale.
Perché Octavia Butler è stata una grandissima scrittrice e donna ed è bello parlarne.
Perché la malattia dell’empatia è un morbo necessario di cui abbiamo bisogno, non dobbiamo soffocarla e rifiutare ogni possibile vaccino, per il bene della nostra stessa integrità.
E perché essendo online chi vuole può leggerlo liberamente!

Grazie a tutt* coloro che hanno segnalato il post, e grazie a chi potendo vorrà votarlo in questa fase. Viva la fantascienza, e viva anche la fantascienza delle donne!

Nei prossimi giorni ti parlerò del mio secondo pezzo finalista al Premio Italia: un racconto! Continua a seguirmi!