Il 16 giugno di tre anni fa, ci lasciava prematuramente Sergio Altieri, o “Alan D. Altieri”, suo nom de plume.
Ricordo la mia incredulità alla notizia, in quei giorni ci stavamo scrivendo: mi aveva da poco concesso un’intervista per la Rivista Inchiostro, con la gentilezza e l’entusiasmo che in molti ricordano. Non ha fatto in tempo a vederla pubblicata, però.
Non conoscevo Altieri da molto, conservo comunque un bellissimo ricordo di lui. Da adolescente lessi con immenso divertimento la sua serie SNIPER e quando lo incontrai quasi non mi pareva vero di poterci parlare con tanta facilità, grazie al suo modo di fare diretto e accogliente.
Non è così consueto che un autore famoso (e Altieri lo era senza dubbio) si presti a tanti progetti e tratti le altre persone con apertura, considerazione, persino confidenza. E insieme a questo Altieri manteneva una serietà di fondo indice di professionalità rigorosa.
Ricordo che questa serietà ci colpì, quando presentò la raccolta “Oltre Venere” al MuFant di Torino: non solo aveva letto tutti i racconti dell’antologia (cosa non sempre scontata per tutti, ahimé) ma aveva con sé un fascio di appunti e note, e nel corso dell’incontro parlò di ogni testo con competenza e personalità.
[Lo raccontammo poi in un breve e divertito report: Torino, il MuFant e il selfie stick]
Anche quando parlava dei suoi lavori era trascinante. Ascoltai una sua presentazione a Senago, nel corso della quale racconto il suo progetto “Terminal War”, aperto con il romanzo “Juggernaut”, e rimasto purtroppo incompiuto dopo l’uscita del secondo volume “Magellan”.
Altieri ha parlato della sua scrittura, dei temi caldi che tornano nei suoi libri, dove principalmente mette in scena una cosa:
Trovi il report completo della serata nel post “Alan D. Altieri e la guerra del futuro” sul blog Lezioni Sul Domani
…”lo scontro contro un potere gigantesco, e per definizione infame, che come un’entità maligna vive per perpetuare se stessa, e dove il meglio che ci può capitare è sopravvivere.
Alzi la mano chi crede che il potere sia infame!“
Tutto questo mi torna in mente perché proprio in questi giorni è uscito un libro che omaggia Sergio “Alan D.” Altieri con il contributo di venti penne contemporanee curata da Giovanni De Matteo e Alessio Lazzati.

Cronache dell’Armageddon raccoglie venti contributi tra narrativa e realtà, tra omaggio e memento lungo i sentieri tracciati da Alan D. Altieri.
Dal sito del’editore: Cronache dell’Armageddon, KIPPLE
Autori, colleghi, amici e familiari ricordano il bardo dell’Apocalisse, l’esploratore del vuoto.
Kipple fa bellissimi volumi e ottimi ebook, quindi ti consiglio questa raccolta e la prenderò anche io, nonostante contenga uno squilibrio che di solito mi dissuade molto: 17 autori e soltanto 3 autrici.
Lo leggerò comunque volentieri, per immergermi in nuove apocalissi che spero mi ricordino lo stile cinematografico, iperbolico, sparatutto e PAZZESCO di Sergio “Alan D.” Altieri.
Per chiudere, un piccolo omaggio vorrei farlo anche io.
Ecco qui di seguito l’intervista che Altieri mi concesse per la Rivista Inchiostro, incentrata sul genere di cui era maestro e conoscitore, dato che tradusse in italiano molti classici: l’HARD BOILED.
Una conversazione, questa, che è anche una lezione di storia della letteratura e di scrittura.
La foto che vedi me la mandò lui per il pezzo.
Intervista a Sergio “Alan D.” Altieri (marzo 2017)

D1) Cos’è lo hard-boiled e in cosa si distingue dal giallo “classico”?
R1) Cercando una definizione della letteratura hard-boiled, un’ipotesi potrebbe essere “l’irruzione dell’esistenzialismo, addirittura del nichilismo, nella narrativa mystery”.
Ritengo inevitabile inquadrare entrambi i concetti – transito vietato al fin troppo discutibile termine “genere” – nel loro contesto storico.
Le radici tematiche e narrative del lavoro della prodigiosa Agatha Christie (1890-1976) si collocano nei primi Anni ’20, l’epoca della grande rinascita europea successiva alla catastrofe della Prima Guerra Mondiale. L’epoca in cui mezzo mondo cercava un nuovo ordine intellettuale (antitetico dall’attuale, tetro “nuovo ordine mondiale”) come via d’uscita dal caos post-bellico.
Non è né può essere un caso che i due protagonisti di Agatha Christie siano un azzimato esteta belga, Hercule Poirot, e un’attenta zitella britannica, Miss Marple. Il mystery di Agatha Christie è il ristabilimento dell’ordine etico contro la devianza del crimine proditorio.
In aspro contrasto con questa prospettiva c’è l’opera dell’egualmente prodigioso Dashiell Hammett (1894-1961) – reduce della Prima Guerra, agente dell’agenzia investigativa Pinkerton – a tutti gli effetti l’inventore dello hard-boiled.
Di nuovo, non è e non può essere un caso se, superata la stagione dei racconti, tutti e cinque i romanzi capolavoro di Hammett, da Red Harvest (1929) fino a The Thin Man (1934) sorgono nel bel mezzo della Grande Depressione, verosimilmente la più grande discesa agl’inferi economica e sociale che gli Stati Uniti abbiano mai affrontato dopo la Guerra Civile.
È quindi nel caos, nel disastro, nella corruzione del mondo e delle anime che si muovono i protagonisti di Hammett, dall’anonimo continental op al pragmatico, cinico Sam Spade. Protagonisti i quali “scrutano nell’abisso” di Nietzsche, mentre, inevitabilmnte “anche l’abisso scruta dentro di loro.”
E questa, a mio avviso, il great divide, la grande linea d divisione, tra mystery e hard-boiled: il ristabilimento dell’ordine nel primo caso, l’accettazione del caos nel secondo.
È lo straordinario Raymond Chandler (1888-1959) – con il suo altrettanto straordinario eroe Philip Marlowe, cavaliere in armatura di flanella grigia – a proiettare nello hard-boiled un vettore profondamente esistenziale. Il che sposta ma non modifica la prospettiva primaria.
Quanto distaccato e antisettico il mystery, tanto brutale e crudele lo hard-boiled, dove la violenza domina e l’assassinio impera.
D2) Una dritta: cosa si deve sempre fare quando si scrive HB?
R2) Si deve essere cattivi, moooolto cattivi. Anzi: perfidi.
Il mondo dello hard-boiled è un mondo impietoso e corrotto, feroce e maledetto. Ooops, non sarà putacaso il mondo qui & ora?
Il detective hard-boiled è solo marginalmente al di sopra delle parti, in virtù di una sua etica tanto intriseca quanto fragile.
Gli antagonisti sono potenti infami (tautologico) e/o gangsters turpi (inevitabile). Il tutto si risolve in un regolamento di conti finale con quanti più morti ammazzati possibile.
Dovesse poi il protagonista venire coinvolto emotivamente: il crash & burn (impatto & rogo) conclusivo è assicurato. Finisce nel gelo dell’obitorio l’attrazione contradditoria in Red Harvest, finisce nel vuoto struggente l’amore impossibile in The Long Good-bye.
In buona sostanza, con lo hard-boiled siamo tutti benvenuti all’inferno in terra.
D3) E un errore da evitare assolutamente?
R3) Cercare il “bene” dove nessun bene può esistere.
Mentre nel mystery gli antagonisti vengono giustamente puniti, nello hard-boiled la giustizia non abita più qui.
L’errore da quattro fregacci blu: mettere a una storia hard-boiled un happy ending, lieto fine.
D4 Ha senso scrivere HB oggi?
R4) Nessun dubbio. A dispetto di tutte le grottesche ipocrisie del politically correct – e citando il profetico titolo di una grande canzone di Phil Collins – la nostra epoca continua, e continuerà a essere, the age of confusion, l’era della confusione.
Non è in questa sede che possiamo inoltrarci in una diquisizione socio-economica, ma oggi è impossibile non vedere come il potere (in tutte le sue forme) venga quotidianamente esibito nei suoi aspetti più deteriori e omicidari.
È lo humus perfetto per lo hard-boiled. Nel paese dove tutti sono corrotti, il tough guy, il duro, è re.
Giulia, ancora grazie a te e a tutti coloro che hanno voluto seguirci per questa mia incursione nella Rivista Inchiostro.
(Grazie a te, Sergio… “& be safe out there”.)
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Grazie!