“Il Pozzo” di Catherine Chanter è un “thriller psicologico” che poggia le basi sulla fantascienza sociale (naturalmente mai nominata ).
L’ho trovato al bookcrossing del mio quartiere (organizzato in un banco del Mercato Comunale di piazza Prealpi dagli esercenti: un altro ottimo motivo per una spesa locale!).
Le copertine Marsilio hanno sempre quel certo fascino, la sinossi era interessante, la protagonista donna come l’autrice, e il mio naso allenato ha sentito odore di fantascienza.
La decisione era scontata: benvenuta nella mia libreria, Catherine!
Il romanzo non mi ha delusa: è stata una lettura appassionante, di quelle che ti tengono incollata alle pagine fino alle due di notte.
Allo stesso tempo, non mi sono “distratta” come avrei voluto: tutto prende le mosse da una siccità che sconvolge il paese e cambia gli equilibri, l’economia, le abitudini… ci ho purtroppo visto molte affinità con la pandemia in corso: dalle scuole ridotte, al panico e divisione sociale, dalla negazione finché si può, fino ai discorsi sull’esproprio statale di terra per il “bene comune” e all’odio sui social fuori controllo.
Non è quello che voglio trovare ora in un romanzo, ecco 🙂 Ma mi ha confermato il grande valore della buona speculazione.
Non è necessario essere fantascientisti allo stato terminale per tirare su una buona distopia sociale: senso di osservazione, chiarezza e attenzione alle implicazioni sono qualità che sviluppano visioni del futuro più che adeguate.
Su questo scenario, si innesta la vicenda del Pozzo, unico lembo di terra dove piove ancora.
Vi si trasferiscono appena in tempo Ruth e Mark, coppia di lungo corso con una brutta storia (più di lui che di lei) da dimenticare, che sente il bisogno (più lui che lei) di una fuga dalla città.
La nuova vita al Pozzo è quindi la storia di due cittadini che si rimboccano le maniche e diventano piccoli allevatori, riparano cose, coltivano ortaggi, sospirano alla vista di albe e tramonti e sono gradualmente detestati dagli amici rimasti nella grigia e pericolosa città.
Ma la siccità avanza, le cose peggiorano… e invece al Pozzo piove come se niente fosse, la terra è rorida, l’agricoltura florida e la cisterna piena: e anche i vicini iniziano a detestarli, poi a emarginarli e a fare loro brutti dispetti (eufemismo), finché pure il resto del mondo si accorge di loro.
Nel frattempo Ruth e Mark tentano di far funzionare la loro storia con molti anni alle spalle, e di accogliere l’ennesimo ritorno della figlia Angie, ex tossicodipendente ragazza madre. Suo figlio, Laurent, è una ragione di vita per Ruth, che lo ama come non è riuscita a fare con Angie.
Ma è tutto già successo: e dalla prima pagina sappiamo che il piccolo Laurent è morto, che è stato ucciso non si sa da chi, e che Ruth si trova a dubitare persino di sé stessa.
Perché oltre all’odio dei vicini, all’attenzione nazionale, alle pressioni dello stato e all’odio sui social verso l’unico lembo di terra dove c’è ancora acqua, c’è un altro problema: nelle terre di Ruth arriva una piccola congrega, una setta di donne dedite al culto della Rosa di Gerico, fiore desertico in grado di sopravvivere al secco. Sarà questa setta, comandata dalla sinistra e carismatica Sorella Amelia, che farà precipitare la vita di Ruth in un gorgo nero e sarà decisiva per la sorte di Laurent.
La storia è narrata proprio da Ruth, alla prima persona, che ricorda e ricostruisce, secondo il tipico meccanismo “whodunnit”, ovvero: la frittata è già fatta, i fattacci sono già successi, si tratta di rimettere i pezzi al posto giusto e chiudere i conti.
Questa scelta narrativa rende “Il Pozzo” un romanzo di grandissima presa.
Ottimo lo scenario fantasociale, bello il setting del Pozzo: le descrizioni di questa campagna buia e gonfia d’acqua, di questa natura imperscrutabile dove piove solo di notte e il mistero stilla dalle rocce è davvero suggestiva.
Buona la voce femminile di una donna matura: Ruth è un bel personaggio, ha in sè la forza dell’esperienza e pur spezzata non è del tutto smarrita.
Interessante il mistero secondario legato a Mark, che aggiunge disagio, specialmente verso la fine. Ma l’ho trovato mal risolto: c’è tutta una costruzione, una serie di dettagli abbastanza raccapriccianti, che secondo me sono stati disattesi: perché metterli, allora? Per farmi dormire male la notte?
Peccato anche per un altro elemento non sfruttato: il misticismo.
Ruth si fa coinvolgere dalla Rosa, prega e va in estasi, ma questo nel racconto emerge poco. Il tema dell’acqua si sarebbe prestato bene a un po’ di insistenza su questo.
Lo stile è un classicone: quell’incedere sornione, di frasi che alludono e anticipano, con una reticenza studiata che fa da sola molto del lavoro, ma è comunque scorrevole e dannatamente efficace.
Insomma, a conti fatti “Il Pozzo” è un romanzo che ti consiglio di leggere se hai voglia di una lettura immersiva e coinvolgente, di quelle che ti incollano alle pagine, e che quando le chiudi ti lasciano addosso un tocco di inquietudine, insieme alla voglia di camminare scalzi per la campagna buia, di notte.
(Magari ogni tanto, di sabato, ti segnalerò qualche bel libro. Ho chiamato questa rubrica #libridelsabato.)
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