Contro la definizione di Antropocene – Nuove note, a margine di “Bestiario del Capitalocene” di Lorenzo Davia

Per problematizzare il termine “Antropocene”, basterebbe leggere il saggio di chi lo ha introdotto: “Benvenuti nell’Antropocene” di Paul Crutzen ci offre argomentazioni banali, quando non derivative, in modo tronfio e interno (se non organico) al sistema che dà mostra di voler analizzare.

La critica al termine “antropocene” mette in luce il fatto che esso occulta le responsabilità di chi sta davvero devastando il clima, il mondo, il pianeta.
Non “gli esseri umani” in generale, ma un gruppo di persone precise e connotate… ne abbiamo quasi i nomi e i cognomi, grazie ad esempio alle ricerche di Thomas Piketty.
Questa élite porta avanti un modello economico suicidario (bellissimo su questo “L’inconscio è il mondo là fuori” di Gianni Vacchelli) con un attacco predatorio agli ecosistemi, ai cieli, alle acque, alle specie, alla vita, alle relazioni, insomma a ciò che rende un’esistenza degna di essere vissuta.

Insieme alla critica del termine, va di pari passo la proposta e la pratica di sostituirlo con una parola diversa (questo fa ad esempio Jason Moore, con analisi complesse e geniali), una parola che sia effettivamente e lealmente descrittiva, e smascheri l’ideologia sottesa alla vaghezza della parola “antropocene”, questa etichetta cool, non a caso perfetta e appetibile per qualsiasi copy.

(Ne avevo già scritto: Contro la definizione di antroppocene – Note preliminari)

Nel suo pamphlet, Lorenzo Davia divulga efficacemente queste argomentazioni e altre, aggiungendo, con piglio da fantascientista, ricerche, scenari, storie vere e cronache apocalittiche, ovvero rivelatrici, in un compendio-Bestiario: il “Bestiario del Capitalocene” edito da Delos Digital per la collana non-aligned object curata da Sandro Battisti.
(Ho già parlato qui del progetto non-aligned object).

Le assurdità registrate da Davia sono surreali, stranianti, allucinanti: altro che “uncanny valley”, qui siamo nel mezzo della Valle di Elah, e al momento la cosa mette una paura boia.
Ma Elah è anche, in antico aramaico, uno dei nomi di Dio. E per come siamo fatti, strane bestie anche noi, i nomi giusti e veri ci aiutano ad avere meno paura, a capire, a reagire, a vivere.

“Capitalocene” secondo me è un nome più giusto e vero del primo. Il resto nella bella recensione di Matteo Scarfò per Solarpunk Italia, che spero metta voglia di leggere “Bestiario del Capitalocene”.

Consiglio di navigare nell’intera collana “non-align object”, edita da Delos Digital e curata da Sandro Battisti. E naturalmente i testi citati, preziosi:

  • Gianni Vacchelli, “L’inconscio è il mondo là fuori. Dieci tesi sul capitalocene: pratiche di liberazione”, Mimesis Edizioni
  • Jason Moore, “Antropocene o capitalocene? Scenari di ecologia-mondo nella crisi planetaria”, Ombre Corte
  • Thomas Piketty, “Il Capitale nel XXI secolo”, Bompiani.